lunedì 19 marzo 2018

Predicazione di domenica 18 marzo 2018 su Numeri 21,4-9 a cura di Marco Gisola

Numeri 21,4-9
4 Poi gli Israeliti partirono dal monte Or, andarono verso il mar Rosso per fare il giro del paese di Edom; durante il viaggio il popolo si perse d'animo. 5 Il popolo parlò contro Dio e contro Mosè, e disse: «Perché ci avete fatti salire fuori d'Egitto per farci morire in questo deserto? Poiché qui non c'è né pane né acqua, e siamo nauseati di questo cibo tanto leggero». 6 Allora il SIGNORE mandò tra il popolo dei serpenti velenosi i quali mordevano la gente, e gran numero d'Israeliti morirono. 7 Il popolo venne da Mosè e disse: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il SIGNORE e contro di te; prega il SIGNORE che allontani da noi questi serpenti». E Mosè pregò per il popolo. 8 Il SIGNORE disse a Mosè: «Fòrgiati un serpente velenoso e mettilo sopra un'asta: chiunque sarà morso, se lo guarderà, resterà in vita». 9 Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra un'asta; e avveniva che, quando un serpente mordeva qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita.


Questo brano del libro dei Numeri è molto particolare ed è inserito nel nostro lezionario in questo tempo che precede la Pasqua perché Gesù stesso riprende questo racconto dell’AT nel vangelo di Giovanni nel dialogo con Nicodemo, al quale dice: «E, come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che il Figlio dell'uomo sia innalzato, affinché chiunque crede in lui abbia vita eterna». (Giovanni 3,14-15)
Nelle parole di Gesù in questo brano di Giovanni, Gesù stesso («Il figlio dell’uomo») si paragona al serpente innalzato da Mosè nel deserto. Il verbo “innalzare” nel vangelo di Giovanni ha un significato particolare e comprende sia la crocifissione (Gesù viene innalzato, cioè appeso, sulla croce), sia la resurrezione e il ritorno al Padre (Gesù sale al Padre, viene innalzato e torna nei cieli, da dove è venuto).
Quindi da un lato è difficile, per noi cristiani, leggere questo brano di Numeri senza pensare a Gesù, ma è anche vero che dobbiamo capire che cosa vuole dire questo racconto nel suo contesto, che si situa nel tempo molti secoli prima di Gesù.
Vediamo che cosa sta succedendo in quello che ci racconta il libro dei Numeri: il popolo di Israele sta facendo il suo lungo cammino nel deserto e, come è accaduto più volte, anche qui perde di nuovo la fiducia: non solo non si fida di Mosè, ma non si fida più nemmeno di Dio.
Il popolo è sfiduciato e scontento, è stufo della manna, che è «cibo troppo leggero»; insomma: quello che ha non gli basta, vuole di più. Il popolo non sta morendo di fame, ma vuole più cibo, o vuole altro cibo. Non chiede il necessario, ma chiede di più.
Inoltre, ha paura di morire - «Perché ci avete fatti salire fuori d'Egitto per farci morire in questo deserto?» - ma in effetti non sta morendo, sta faticando, questo è vero, per affrontare il lungo cammino verso la terra promessa, ma non è in pericolo.
E ogni volta che è stato in pericolo, che ha avuto fame, sete o che ha trovato sulla sua strada dei nemici, Dio lo ha salvato.
Dunque: Israele non ha tutto, non ha tutto quello che potrebbe desiderare, non ha ancora la terra promessa ma ha il necessario e ha Dio che lo accompagna nel cammino e lo aiuta ad affrontare ogni difficoltà che si presenta. Ma questo non gli basta, non gli basta il necessario e non gli basta l’aiuto di Dio.
Ha il necessario per camminare, ma forse non ha più voglia di camminare.
E allora si ribella a Dio: «ci avete fatti salire fuori d'Egitto per farci morire in questo deserto?». La morte non c’è, ma Israele la vede, la sente vicina, perché è morta la fiducia, è morta la fiducia in Dio.
Che cosa fa Dio? A Israele che non vede che morte, manda la morte, per mano – anzi per bocca - dei serpenti velenosi. Forse istintivamente ci sembra che Dio esageri: perché mandare uno strumento di morte contro il suo popolo, dopo che lo ha salvato così tante volte? Dio esagera? Dio è ingiusto?
Questa reazione che possiamo avere è naturale, ci dispiace che una parte del popolo muoia, ma in realtà non ha ragion d’essere. Non solo perché così facendo ci ergiamo a giudici di Dio, ma perché Israele stesso riconosce che Dio ha ragione; infatti va da Mosè e gli dice: «Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il SIGNORE e contro di te; prega il SIGNORE che allontani da noi questi serpenti».
Mosè prega, come gli è stato chiesto e Dio ascolta. Ascolta e esaudisce la preghiera, ma non come forse ci aspetteremmo e come ha fatto altre volte, per esempio quando il popolo aveva sete e gli ha dato immediatamente dell’acqua, facendola scaturire dalla roccia.
Questa volta Dio chiede a Mosè di costruire un serpente di bronzo e di metterlo sopra un bastone. Quando qualcuno sarà morso, se guarda il serpente di bronzo che è in cima al bastone non morirà.
Dietro questo fatto c’è un’idea che a noi sembra un po’ troppo magica, ma che nell’antichità era molto diffusa: se qualcuno soffriva a causa del veleno di una pianta o di un animale – come in questo caso – doveva guardare un’immagine di quella pianta o di quell’animale e questo poteva salvarlo dal pericolo.
Dunque, la preghiera degli Israeliti è esaudita, la salvezza c’è, ma non è automatica: bisogna guardare il serpente che Mosè costruisce su ordine di Dio. Guardare il serpente di bronzo non è un atto magico, ma è un atto di fiducia in Dio, e la fiducia si mostra nell’obbedienza a quello che Dio ha detto di fare.
Questo racconto ci dice quindi due cose: da un lato che la sfiducia porta alla morte e dall’altro che se si torna ad aver fiducia in Dio – fiducia che appunto si dimostra guardando il serpente – Dio sconfigge la morte e ridona la vita.
La sfiducia porta alla morte: nel racconto la morte è molto reale, nella nostra esperienza non ci sono serpenti che vengono a morderci, ma possiamo lo stesso sperimentare che una vita senza fiducia è una non-vita, una vita cui manca qualcosa di importante, una non-vita.
Nessuno basta a se stesso, e Israele nel deserto – benché fosse un popolo numeroso – non bastava a se stesso, non ce l’avrebbe fatta da solo. Israele ha bisogno di Dio, ma è necessario che Israele abbia fiducia in Dio, altrimenti diventa tutto inutile, altrimenti si rovina da solo.
Questo racconto ci dice addirittura che la mancanza di fiducia è morte. E dunque ci dice che la fiducia è vita; e la vita è fiducia. Gli Israeliti che vengono morsi dai serpenti velenosi – cioè quegli Israeliti che avevano perso la fiducia in Dio e si erano – senza accorgersene – cercati la morte da soli, quegli Israeliti che sono già stati morsi dai serpenti e sono in pericolo di vita, possono vivere guardando il serpente di rame, possono vivere cioè rimettendo la loro fiducia in Dio.
L’evangelo di questo strano racconto è che all’israelita morso dal serpente, all’israelita in pericolo di vita è data la possibilità di non morire, è data la possibilità di vivere, di essere salvato.
Questo racconto parla di esseri umani in pericolo e parla a esseri umani in pericolo. Se pensiamo che nella nostra vita sia tutto a posto l’evangelo non è diretto a noi.
L’evangelo è diretto a donne e uomini ribelli, ribelli perché sfiduciati, come gli Israeliti di questo racconto. E questo racconto dice chiaramente che nella sfiducia nei confronti di Dio sta la morte, la non vita, la vita morta, potremmo dire; e che nella fiducia in Dio sta la vita.
Questo racconto ci interpella ogni volta che pensiamo di non avere bisogno di Dio e vogliamo fare a meno di Dio; “era meglio in Egitto” è la frase di chi pensa di bastare a se stesso e di non avere bisogno di Dio. Meglio senza Mosè, senza esodo, senza libertà, senza Dio. È la voce del ribelle sfiduciato.
Al ribelle sfiduciato questo racconto dice: guarda il serpente, che ovviamente vuol dire: Guarda Dio. Volgi il tuo sguardo – ovvero la tua fiducia – verso Dio, e non verso l’Egitto. Ritorna a guardare a Dio e a fidarti e affidarti a lui e sarai salvato, la tua vita ritroverà senso e scopo.
Non è un caso che questo racconto sia ripreso da Gesù nel dialogo con Nicodemo. Siamo all'inizio del vangelo di Giovanni ma viene già chiaramente detto che cosa aspetta Gesù: l’innalzamento. Gesù sarà innalzato come il serpente di Mosè, dove innalzato – come abbiamo detto all’inizio – vuol contemporaneamente dire crocifissione e risurrezione, abbassamento al punto più basso dell’esistenza umana – la croce - e innalzamento alla gloria del Padre.
Questo racconto ci dice di guardare a Dio non quando siamo tristi – questo lo dicono altri testi – ma quando siamo ribelli e quando siamo colpevoli. E la sua rilettura cristiana che troviamo in Giovanni ci dice di guardare a Cristo quando siamo ribelli e quando siamo colpevoli.
E come il cammino di Israele non si è interrotto qui, ma è potuto proseguire fino alla terra promessa, così anche il nostro cammino, nonostante le nostre ribellioni, prosegue se lo rimettiamo ogni giorno nelle mani di Gesù, che per noi è stato innalzato, ovvero per noi è morto e risorto.

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