domenica 7 gennaio 2018

Predicazione di domenica 7 gennaio 2018 (Epifania) su Efesini 2,2-12 a cura di Marco Gisola

Efesini 3,2-12
2 Senza dubbio avete udito parlare della dispensazione della grazia di Dio affidatami per voi; 3 come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero, di cui più sopra vi ho scritto in poche parole; 4 leggendole, potrete capire la conoscenza che io ho del mistero di Cristo. 5 Nelle altre epoche non fu concesso ai figli degli uomini di conoscere questo mistero, così come ora, per mezzo dello Spirito, è stato rivelato ai santi apostoli e profeti di lui; 6 vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo, 7 di cui io sono diventato servitore secondo il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù della sua potenza. 8 A me, dico, che sono il minimo fra tutti i santi, è stata data questa grazia di annunciare agli stranieri le insondabili ricchezze di Cristo 9 e di manifestare a tutti quale sia il piano seguito da Dio riguardo al mistero che è stato fin dalle più remote età nascosto in Dio, il Creatore di tutte le cose; 10 affinché i principati e le potenze nei luoghi celesti conoscano oggi, per mezzo della chiesa, la infinitamente varia sapienza di Dio, 11 secondo il disegno eterno che egli ha attuato mediante il nostro Signore, Cristo Gesù; 12 nel quale abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui.


In questo brano non così semplice della lettera agli Efesini, che non si sa se sia dell’apostolo Paolo oppure di un suo allievo e discepolo, l’autore parla del tema che in genere è al centro del culto dell’Epifania, ovvero il fatto che la venuta di Gesù, che abbiamo celebrato a Natale, è un evento che riguarda tutti gli esseri umani. Questo è il senso della visita che fanno a Gesù i Magi, uomini che non erano ebrei, ma pagani e sono venuti da terre lontane per adorare Gesù.
Qui l’apostolo parla di un mistero che è stato rivelato: il mistero è appunto l’intenzione universale, universalistica di Dio, che ora in Cristo è diventata chiara. Potremmo qui obiettare che al pensiero ebraico questa intenzione non era sconosciuta, nel senso che i profeti parlano più volte del fatto che tutte le nazioni un giorno avrebbero riconosciuto il Dio di Israele e che Dio aveva detto che in Abramo stesso sarebbero state benedette tutte le nazioni e non solo il popolo che sarebbe nato da lui. Ma è vero che per i pagani questa è stata una enorme novità: per Dio non ci sono più distinzioni, come scrive Paolo in Romani 3(22b-24): “non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù”.
L’apostolo usa la parola mistero, ma non facciamoci spaventare da questa parola: Paolo parla di mistero solo per dire che ora non è più un mistero, perché è stato rivelato in Cristo. Rivelato vuol dire che è stato fatto conoscere da Dio attraverso la venuta di Gesù Cristo. Non c’è nulla di misterioso, c’è solo qualcosa di rivelato, non ci sono misteri da scoprire, ma solo un mistero già scoperto, appunto ri-velato, svelato. Il mistero rivelato è quello descritto al v. 6 del nostro brano: “vale a dire che gli stranieri sono eredi con noi, membra con noi di un medesimo corpo e con noi partecipi della promessa fatta in Cristo Gesù mediante il vangelo”.
Nella nostra traduzione in questo versetto ritorna tre volte l’espressione “con noi”, intendendo “con noi ebrei”. In greco il testo è più sintetico e usa le parole “coeredi” (eredi con noi), “con-corpo” (che in italiano non esiste, ovviamente, per questo è stato tradotto “membra con noi di un medesimo corpo”), e “compartecipi” della promessa.
Vorrei fermarmi un attimo su queste tre parole:
1. Co-eredi: eredità è il termine che ritorna più volte nell’AT per indicare le benedizioni di Dio per il suo popolo. Immaginiamo un pagano che un bel giorno riceve la comunicazione che ha ricevuto un’eredità. Ma come un’eredità? Il pagano non sa da chi potrebbe ricevere un’eredità. La persona che gli ha lasciato l’eredità non è un parente, nemmeno lontano! Fuori di metafora, i pagani non si attendevano nulla dal Dio di Israele, perché era il Dio di Israele! Loro avevano altri dèi; quella eredità non era loro diritto, per i pagani è stato un puro dono.
E come la mettiamo allora con gli ebrei? Mentre qualcuno diceva ai pagani che avevano ricevuto un’eredità inattesa, doveva anche dire agli ebrei che la loro eredità non era più soltanto loro, ma era anche di qualcun altro. La grossa differenza con le eredità “normali”, ovvero materiali, è che questa eredità, se gli eredi sono due anziché uno, non si divide, ma rimane uguale per tutti, anzi quasi si potrebbe dire che si moltiplica. Se gli eredi sono mille o un milione, l’eredità non viene divisa, perché è la stessa per tutti. Non è che dividi l’eredità con qualcun altro, ma con-dividi l’eredità con qualcun altro, che è co-erede con te, potremmo dire che godi dell’eredità con qualcun altro. E questo è un “di più”, non un “di meno”. Ebrei e pagani, dunque, eredi tutti insieme.

2. la seconda parola, in greco, è con-corpo, che in italiano non esiste ma che rende bene l’idea. Nella nostra Bibbia questa parola è tradotta “membra con noi di un medesimo corpo” e nel nuovo NT della Riforma “parte dello stesso corpo”. “Con-corpo” vuol dire che siamo corpo insieme, che ebrei e pagani sono insieme quello che Paolo in altre lettere chiama “corpo di Cristo”. Dal punto di vista ebraico, l’umanità si divideva in ebrei e pagani; ora le due parti sono unite. Se manca una delle due parti – ebrei e pagani – al corpo manca un pezzo. Solo insieme il corpo è completo. “Con-corpo” è un’espressione molto forte; significa che queste due grandezze – ebrei e pagani – in Cristo non solo sono unite, ma sono inseparabili.
Sappiamo dal Nuovo Testamento che ovviamente non tutti gli ebrei credettero in Cristo e tanto meno tutti i pagani, ma qui non si tratta di avere per forza tutti gli esseri umani inclusi nel corpo di Cristo, ma di non aver nessuno escluso a priori. “Con-corpo” significa che nessuno è escluso, che si è corpo insieme e che nessuno è escluso dall'essere parte di questo corpo.

3. la terza parola è “compartecipi” della promessa. Tutto si fonda sulla promessa che Dio ha fatto in Cristo e prima ancora aveva fatto al suo popolo. Questa promessa ora non è più limitata al popolo ebraico, ma è per tutti. Gesù porta a compimento questa promessa, che ora è per tutti. È la promessa che ti rende partecipe dell’eredità, è la promessa che ti inserisce nel corpo di Cristo. Ma non soltanto tu ebreo, ma anche l’altro, il pagano. E non soltanto tu, pagano, ma anche l’altro antico erede, l’ebreo.

In tutte e tre queste espressioni, in tutte e tre queste parole, la grande novità è che ora c’è l’altro. Per l’ebreo l'altro è il pagano, per il pagano l'altro è l’ebreo. Il risultato è lo stesso per entrambi: ora c’è l’altro. L’altro che non conoscevi, l’altro su cui avevi pregiudizi, l’altro che ti sembrava e forse ti sembra ancora diverso e distante. Ora è qui “con te”, coerede, con-corpo, compartecipe.
Questa è la novità del cristianesimo: l’altro non è più altro, ma è con te, a volte accanto a te, a volte di fronte a te, ma non è più senza di te e tu non sei più senza di lui. Questa è la meraviglia e la difficoltà della vita cristiana: che l’altro non è più a priori fuori dalla mia vita, ma è “con me”, “con noi”. E io non sono più fuori dalla vita dell’altro, ma sono con lui, e lui è con me.

Tutto questo, secondo l'apostolo, avviene “mediante il vangelo, di cui io sono diventato servitore secondo il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù della sua potenza”. Attraverso l’evangelo avviene tutto questo, attraverso l’evangelo predicato, ascoltato, praticato avviene proprio questo miracolo: che l’altro non è più altro, non è più lontano, non è più diviso da te.
L'evangelo è questo cammino che avvicina, che unisce. Come i Magi, che hanno fatto un lungo cammino per arrivare da Gesù, hanno percorso migliaia di chilometri per non essere lontani e divisi da Gesù quando è nato, ma per essergli vicini e uniti.
È un lungo cammino, quello che unisce e avvicina. Un cammino che ci è dato di percorrere e ci è chiesto di percorrere, che a volte è faticoso, perché non è detto che l’altro abbia così tanta voglia di essere vicino e unito a noi, o che voglia essere vicino e unito nel modo in cui noi lo intendiamo. È un cammino lungo e faticoso, ma è il cammino che è tracciato dall’evangelo.
Di questo evangelo, scrive l’autore di questa lettera, “io sono diventato servitore”. Egli “serve” questo evangelo, vive al servizio di questa buona notizia, che nessuno è escluso, che il muro di cui ha parlato nel cap. 2 (14) è crollato, non può più dividere. L’apostolo si chiama “il minimo fra tutti i santi” e noi siamo ancora più minimi di lui. Ma anche a noi è dato non solo il dono di vivere questo evangelo, di vivere la realtà che questa buona notizia ci dà, ma ci è dato anche il compito di annunciarlo, di esserne servitori.
Per questo esiste la chiesa: in primo luogo per essere il corpo (o il “con-corpo”) che Dio ha creato nella fede in Cristo e di cui i credenti sono membra, e in secondo luogo per essere la servitrice di questo evangelo, di questa promessa, di questa Parola.
L’apostolo conclude: “Abbiamo la libertà di accostarci a Dio, con piena fiducia, mediante la fede in lui”, cioè in Cristo. Tutti e tutte, nessuno escluso, abbiamo questa libertà, che non va intesa come un diritto, ma come un dono, il dono di essere anche noi coeredi, anche noi con-corpo, anche noi compartecipi della promessa di Dio, rivelataci nell’evangelo.
In Cristo, anche noi, con tutti gli altri e non senza l’altro, abbiamo la libertà e il dono di poterci accostare a Dio con piena fiducia. È questo che oggi celebriamo nella festa dell’Epifania ed è per questo dono che ringraziamo il Signore.

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