domenica 9 luglio 2017

Predicazione di domenica 9 luglio 2017 su Genesi 50,15-21 a cura di Marco Gisola

Genesi 50,15-21
15 I fratelli di Giuseppe, quando videro che il loro padre era morto, dissero: «Chi sa se Giuseppe non ci porterà odio e non ci renderà tutto il male che gli abbiamo fatto?» 16 Perciò mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre, prima di morire, diede quest'ordine: 17 "Dite così a Giuseppe: Perdona ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del male". Ti prego, perdona dunque ora il misfatto dei servi del Dio di tuo padre!» Giuseppe, quando gli parlarono così, pianse. 18 I suoi fratelli vennero anch'essi, si inchinarono ai suoi piedi e dissero: «Ecco, siamo tuoi servi». 19 Giuseppe disse loro: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio? 20 Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso. 21 Ora dunque non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri figli». Così li confortò e parlò al loro cuore 
 
Il libro della Genesi si conclude con la morte dei patriarchi: al cap. 49 viene raccontata la morte di Giacobbe, che chiede di essere sepolto nel paese di Canaan; e al cap 50 è narrata la morte di Giuseppe che chiude il libro della Genesi. Con il libro dell’Esodo inizierà una nuova storia, non più storia di una famiglia, ma storia di un popolo, che Mosè porterà fuori dall’Egitto, ecc.
Il brano che abbiamo letto viene immediatamente prima del racconto della morte di Giuseppe, è dunque il penultimo episodio del libro della Genesi. Prima di raccontare la pagina finale della vicenda dei Patriarchi con la morte dell’ultimo Patriarca, appunto Giuseppe, l’autore sente il bisogna di ribadire ancora una volta il senso di tutta questa vicenda.
Il racconto parte da una questione molto umana: morto il padre Giacobbe, i fratelli di Giuseppe vengono presi da un timore: hanno paura che, ora che il loro padre è morto, a Giuseppe venga voglia di vendicarsi di quello che loro gli avevano fatto quando hanno pensato prima di ucciderlo e poi lo hanno venduto a dei mercanti di schiavi che lo hanno portato in Egitto.
I fratelli pensano: magari Giuseppe è stato buono finora perché c’era nostro padre e non voleva deluderlo, ma ora che Giacobbe non c’è più…. Forse potrebbe venirgli voglia di farci pagare il male che gli abbiamo fatto.
In realtà la loro paura non è fondata, nulla nei capitoli precedenti fa pensare che Giuseppe voglia vendicarsi. Anzi: quando Giuseppe si è fatto conoscere dai fratelli il suo perdono era chiaro; Giuseppe aveva detto: “«Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto. Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita” (45,4-5)
Non solo il perdono, ma anche l’idea che era stato Dio a farlo arrivare in Egitto per poter salvare tutta la sua famiglia dalla carestia, c’era già in quell’episodio.
E questa idea – che esprime il senso di tutta la vicenda di Giuseppe e i suoi fratelli – è ribadita qui con forza. l'autore della Genesi vuole finire così: prima della fine, cioè della morte di Giuseppe, vuole riaffermare che il senso di tutto quello che è successo era la salvezza della famiglia di Giacobbe, che si sarebbe riunita di nuovo e sarebbe poi diventata un popolo.
Il senso di tutta la vicenda di Giuseppe è quindi che il piano di Dio ha la meglio su quello dei fratelli. Non trionfa il male fatto dai fratelli di Giuseppe ma trionfa il bene fatto da Dio.
E come fa Dio a fare il bene? A condurre a buon fine il suo progetto? In tutta questa lunga (dura 14 capitoli) e avventurosa storia, piena di suspense e di colpi di scena, l’azione di Dio si mescola all’azione umana. Anzi di più: gli esseri umani, soprattutto i fratelli di Giuseppe, hanno fatto il male (molto male, non solo un po’) e Dio si è addirittura servito della loro cattiveria per fare il bene.
Giuseppe dice: “Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene”. Gli esperti ci dicono che il verbo qui tradotto con “pensare”, non indica soltanto l’azione di pensare, appunto, con la mente, ma implica già anche l’azione.
E l'autore della Genesi usa lo stesso verbo per i fratelli di Giuseppe e per Dio: voi, fratelli, avete progettato, architettato, il male, Dio ha progettato, architettato il bene a partire dal vostro male.
Nemmeno questo ultimo episodio è così limpido: i fratelli prima mandano degli ambasciatori a Giuseppe, che era pur sempre il vice del faraone, e gli mandano a dire che è Giacobbe che, prima di morire, aveva detto che Giuseppe avrebbe dovuto perdonarli; sarà vero oppure no? Perché Giacobbe non l’aveva detto direttamente a Giuseppe? E perché avrebbe dovuto dirlo, quando Giuseppe aveva già perdonato i fratelli?
E poi vanno a prostrarsi davanti a lui, si inchinano ai suoi piedi, in ebraico si dice “cadono con la faccia a terra”, segno di grande umiliazione, davanti al fratello e davanti all’uomo più potente di Egitto dopo i faraone.
Insomma, i fratelli non sono così trasparenti nemmeno qui, nemmeno dopo la morte del padre. La paura li porta a mettere in atto una serie di comportamenti non proprio limpidi.
Ma non importa. Tutta la storia ci dice che è proprio una caratteristica degli esseri umani – soprattutto i fratelli di Giuseppe, che rappresentano un po’ tutti i fratelli… - quella di non essere limpidi, anzi spesso sono decisamente malvagi.
La storia di Giuseppe e i suoi fratelli ci dice che nonostante la meschinità umana e la miseria umana, Dio fa passare il suo bene.
Il bene di Dio ha due aspetti: quello collettivo, oggi diremmo globale: Dio salva dalla carestia non solo la famiglia di Giacobbe, ma tutto l’Egitto. E quello invece indirizzato alla famiglia di Giacobbe: la salvezza dalla fame prima di tutto, ma poi la riconciliazione.
Una famiglia di Giacobbe viva ma in perenne lotta non sarebbe potuta diventare il popolo di Israele.
La salvezza dalla carestia e la riconciliazione sono gli obiettivi di tutta la storia di Giuseppe e i suoi fratelli.
Un commentatore ha scritto su questo brano che in esso incontriamo da un lato un grande realismo e d’altro lato una grande speranza. Realismo, perché come già abbiamo detto di cattiverie e di odio in questa storia ce n’è in abbondanza.
Tutta la Bibbia è molto realista sulla natura umana: dalla disobbedienza di Adamo ed Eva, al fratricidio di Caino su Abele e poi tutta la storia di Giuseppe emerge chiaramente che l’essere umano non è certo buono ed innocente.
La Bibbia ci insegna che dobbiamo fare i conti con la malvagità o almeno l’egoismo umano, a partire dal nostro.
Ma c’è anche speranza, perché in questo complesso insieme di egoismo e di malvagità, Dio non rinuncia ad agire. Arriva persino a servirsi del male che i fratelli hanno progettato per portare avanti il suo piano di bene e di salvezza.
La storia di Giuseppe, come la storia di ciascuno e ciascuna di noi e la storia umana, non è in bianco e nero, ma è piena di sfumature. Presunzione, invidia che diventa odio, odio che diventa voglia di eliminare, addirittura di uccidere, riempiono questo racconto.
Leggendo tutta questa storia ci verrebbe forse da dire: ma guarda come sono questi patriarchi! Da Giacobbe e Esaù e le loro liti fin dal grembo materno, fino a Giuseppe e i suoi fratelli, sembra proprio che Dio abbia scelto la peggior umanità che c’era!
Sì, Dio ha scelto non la peggiore umanità, ma l’umanità così com’era, esseri umani così come erano per portare avanti i suoi progetti. Ha scelto e sceglie l’umanità così come è per portare avanti i suoi progetti. l’evangelo di questo brano è che nonostante la malvagità e la miseria umana non sono i cattivi progetti umani a trionfare, ma i buoni progetti di Dio.
Dunque c’è speranza; non c’è illusione, non c’è in questa storia e nella Bibbia una illusione infantile sulla bontà dell’umanità, questo no, c’è un sano realismo che tiene conto del peccato umano. Ma c’è speranza e questo è ciò che conta: dietro le quinte della nostra piccolezza, delle nostre invidie, dei nostri rancori, della nostra malvagità, Dio agisce per portare avanti i suoi progetti. Per questo c’è speranza.


Questo è il grande messaggio della storia di Giuseppe.
Ma c’è ancora un dettaglio che vorrei sottolineare: Giuseppe potrebbe sembraci l’eroe di questa vicenda e di certo è il personaggio positivo della storia, a partire dal fatto che lui è la vittima della cattiveria dei fratelli. Ma anche lui non è perfetto: quando faceva i suoi sogni in cui sognava che tutti (fratelli e genitori) si inchinavano ai suoi piedi, Giuseppe era molto orgoglioso e piuttosto presuntuoso.
E anche qui Giuseppe potrebbe apparirci il “buono” che perdona i “cattivi”. La sua bontà non è però tanto una qualità umana, ma è la fiducia di chi riconosce che Dio è all’opera. Giuseppe è così uno strumento del progetto di bene di Dio, che si oppone al progetto di male portato avanti dai fratelli.
Giuseppe non è certo perfetto, ma riconosce che Dio è all’opera. Questa è in qualche modo la sua fede.
Giuseppe perdona i fratelli, nel senso che rinuncia a vendicarsi, cosa che avrebbe potuto fare facilmente visto il potere che aveva nel paese di Egitto. Ma rinuncia a vendicarsi e perdona i fratelli, perché riconosce che questo è il progetto di Dio.
Anzi: perdona perché riconosce che Dio ha perdonato: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio?», dice ai fratelli.
Giuseppe non si mette al posto di Dio, ha capito che il progetto di Dio porta alla riconciliazione e non vi si oppone. Non si oppone perché non può opporsi, non può negare il perdono che Dio stesso ha dato. Se lo facesse, prenderebbe il posto di Dio. Se lo facesse sarebbe una misera vendetta umana, che pesca dentro ai sentimenti più negativi come il rancore e la voglia di vendetta.
Ma Dio ha deciso altrimenti. E allora: «Non temete», dice Giuseppe. «Non temere, non temete» sono parole che nella Bibbia spesso pronuncia Dio stesso;
«Non temere» è un’espressione che ritorna in momenti decisivi della storia biblica, da quando Dio rinnova la sua promessa ad Abramo (Genesi 15), alle molte parole del profeta Isaia quando annuncia il ritorno di Israele dall’esilio in Babilonia; lo dice l’angelo che annuncia la nascita di Gesù a Maria e lo dice Gesù stesso risorto quando incontra le donne al sepolcro.
«Non temere» è parola divina per eccellenza, parola che annuncia grazia e consolazione.
Giuseppe stesso si fa annunciatore di parole di consolazione: “Così li confortò e parlò al loro cuore”.


Questa antica storia ci insegna dunque a essere molto realisti e a tener conto della malvagità umana, ma ancor più ci insegna a nutrire grande speranza nei progetti di Dio, che agisce dietro e dentro le azioni umane, addirittura a volte trasforma il male in bene per portare avanti i suoi progetti di salvezza e riconciliazione.
Che il Signore ci aiuti riconoscere la sua azione nella storia e voglia servirsi anche di noi per portare avanti i suoi progetti.

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