lunedì 3 luglio 2017

Predicazione di domenica 2 luglio 2017 su Luca 15,1-3.11-32 a cura di Marco Gisola (Tempio di Piedicavallo)

Luca 15,1-3.11-32
1 Tutti i pubblicani e i peccatori si avvicinavano a lui per ascoltarlo. 2 Ma i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3 Ed egli disse loro questa parabola:
11 Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane di loro disse al padre: "Padre, dammi la parte dei beni che mi spetta". Ed egli divise fra loro i beni. 13 Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, messa insieme ogni cosa, partì per un paese lontano e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente. 14 Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese, il quale lo mandò nei suoi campi a pascolare i maiali. 16 Ed egli avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava. 17 Allora, rientrato in sé, disse: "Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18 Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: 'Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: 19 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi'". 20 Egli dunque si alzò e tornò da suo padre. Ma mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione; corse, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 E il figlio gli disse: "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio". 22 Ma il padre disse ai suoi servi: "Presto, portate qui la veste più bella e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; 23 portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato". E si misero a fare gran festa. 25 Or il figlio maggiore si trovava nei campi, e mentre tornava, come fu vicino a casa, udì la musica e le danze. 26 Chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa succedesse. 27 Quello gli disse: "È tornato tuo fratello e tuo padre ha ammazzato il vitello ingrassato, perché lo ha riavuto sano e salvo". 28 Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. 29 Ma egli rispose al padre: "Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; 30 ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato". 31 Il padre gli disse: "Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato"».


Questa parabola è un testo molto bello e a cui siamo molto affezionati, è la parabola della misericordia di Dio per eccellenza. Un racconto semplice, ma se guardiamo bene non elementare. Semplice perché la grazia di Dio è descritta e rappresentata in modo davvero eloquente nella figura del padre che corre incontro al figlio, che prima ancora lo vede da lontano - cosa che ci fa quasi sembrare che lo stesse aspettando - che lo abbraccia… Insomma perdono come accoglienza: accoglienza immeritata e incondizionata. Accoglienza del figlio che si sarebbe accontentato di vivere d’ora in poi come un servo, cioè come un salariato, un dipendente dell’azienda (diremmo oggi) del padre e invece viene accolto come figlio a tutti gli effetti, come figlio come era prima.
Accoglienza come reintegrazione nella stessa identica situazione e relazione che aveva lasciato prima di andare a sperperare tutti i suoi averi. Accoglienza senza rimproveri, senza punizione, senza predicozzo del tipo “ora ti riprendo in casa però, d’ora in avanti fai quello che dico io…!”, accoglienza senza se e senza ma, accoglienza gratuita, dunque grazia. In questa immagine il testo è molto semplice, immediato.
Racconto semplice ma non banale e non superficiale. Racconto che tiene conto della complessità della realtà umana e delle complesse conseguenze del perdono. Infatti a “complicare” - nel senso di rendere complesse - le cose c’è l’altro fratello. Il racconto sarebbe più semplice se il figlio fosse soltanto uno, quello che se ne va e poi decide di tornare indietro e viene riaccolto dal padre. Per raccontare la misericordia di Dio, per rappresentare la misericordia di Dio sarebbe bastata la relazione Padre-Figlio. La grazia di Dio è già tutta lì.
Se Gesù aggiunge il personaggio del secondo figlio, significa che sa che la realtà umana e la realtà del perdono è complessa; dico complessa non nel senso di difficile, ma nel senso che riguarda molti aspetti della nostra vita e delle nostre relazioni. C’è anche il fratello di cui tener conto. Il perdono di Dio riguarda Dio e me, ma non riguarda mai soltanto Dio e me. Riguarda anche me e gli altri, e gli altri sono rappresentati dal fratello. E riguarda anche la relazione tra Dio e mio fratello.
La storia dunque non è solo una, ma sono due. Anzi tre. C’è la relazione tra il figlio minore – quello che se ne va di casa - e il padre; quella tra il figlio maggiore, che rimane a casa a lavorare, e il padre; e quella tra i due fratelli, che nel racconto non si parlano mai, anzi sembra che non si incontrino neppure. E infatti la storia non è finita: finisce la parabola, ma non finisce la storia. c’è un pezzo di storia ancora da scrivere.

1. la prima storia, la prima relazione è quella centrale, quella tra il padre e il figlio minore, che va via di casa e poi torna e viene riaccolto. Accoglienza come metafora del perdono. Come accennavo prima, il perdono è rappresentato dal fatto che il figlio che si sarebbe accontentato di essere trattato come un servo pur di avere un tetto e qualcosa da mangiare in cambio del suo lavoro, viene invece riaccolto come figlio. Non viene declassato. Il figlio minore ci sta anche un po’ simpatico: a occhi moderni è uno che vuole cavarsela da solo, che vuole cercare la sua autonomia, che si mette in gioco anche per diventare autosufficiente, per diventare grande. Agli occhi della parabola è invece uno che pecca di presunzione, pensando di vivere senza il padre e la sua protezione.
Ma nonostante il figlio abbia fatto un enorme errore, abbia peccato di orgoglio, abbia pensato di poter fare a meno del padre (ovvero di Dio), viene riaccolto come prima. Nonostante la colpa è trattato come era trattato prima, cioè da figlio e non da servo. Questa è la grazia. La grazia non cancella la colpa o l’errore, cancella le sue conseguenze. “Nonostante tutto” e “come prima”: queste sono le due espressioni che ci raccontano che cosa è la grazia secondo questa parabola.

2. E fin qui la storia corre liscia. Ma c’è il fratello. E il fratello non è contento del fatto che il padre abbia riaccolto il fratello nonostante tutto e lo tratti come prima, anzi che faccia addirittura una festa per lui, anziché fargli una sonora ramanzina. Per noi è forse più facile metterci nei panni del figlio minore. È consolante pensare di poter essere riaccolti dopo che abbiamo fatto qualche sciocchezza, o dopo aver fatto un grosso errore. Pensare che Dio ci riaccolga quando sbagliamo è molto consolante.Ma come la mettiamo quando ci mettiamo nei panni del fratello maggiore e vediamo che Dio riaccoglie nostro fratello che – magari – non sopportiamo tanto volentieri? O che ha fatto un errore che ci sembra molto grave e che noi sicuramente non avremmo fatto…?
La grazia di Dio è anche per mio fratello. Anche per quel fratello che non mi è per nulla simpatico, anche per quello che ha fatto una cosa che a me sembra terribile. Qui c’è la prova del nove della nostra fede nella grazia. È facile credere alla grazia di Dio finché essa è per me, finché sono io a essere riaccolto, perdonato, salvato. Ma la grazia è anche per mio fratello che sbaglia più di me. Anzi è sopratutto per mio fratello o mia sorella che sbaglia più di me. Perché “dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata”. Perché il padre dona il suo perdono a chi ne ha bisogno. E dona più perdono a chi ne ha più bisogno. Il fratello maggiore ha fatto bene a rimanere a casa, ha fatto bene a comportarsi bene, a lavorare sempre insieme al padre senza avere grilli per la testa. Ha fatto la cosa giusta. Ma chi fa la cosa giusta deve accettare che chi fa la cosa sbagliata ritorni a casa e sia ri-accolto e sia di nuovo considerato e trattato come fratello, come prima. Il fratello che ha sempre fatto la cosa giusta deve accettare anche lui suo fratello che ha sbagliato, come lo ha accettato il padre.
Fuor di metafora: Dio ci chiede di accogliere e accettare e amare chi lui accoglie, accetta, ama, spogliandoci dei panni del giudice e indossando quelli del fratello. Il fratello minore aveva capito il suo errore, si era “convertito”, se vogliamo usare questa parola. Il figlio maggiore ha ancora bisogno di essere convertito. Ha bisogno di conversione perché sta rifiutando suo fratello, lo sta disconoscendo come fratello: dato che ha sbagliato, dato che ha fatto una sciocchezza non è più mio fratello, pensa il fratello maggiore.
Il padre lo invita invece a riconoscerlo di nuovo come fratello, ad abbracciare il fratello come ha fatto lui e a partecipare alla festa; questo invito è l'appello alla conversione. La conversione consisterebbe riconoscere che quell’essere umano che ha sbagliato è ancora tuo fratello. La parabola è molto profonda in questo: chi ha toccato il fondo e è arrivato a disperare di se stesso riesce a riconoscere il proprio errore e a tornare indietro, a convertirsi. Chi è sicuro di sé e dall’alto di questa sicurezza giudica l’altro, non riesce a fare il passo che lo porterebbe dentro la festa, dove potrebbe ritrovare suo fratello.

3. E così abbiamo già toccato il terzo punto, la terza storia, la terza relazione. Quella che non troviamo nella parabola, che è quella tra i due fratelli. Non la troviamo proprio perché il maggiore rifiuta di partecipare alla festa, si sente vittima di un’ingiustizia e quindi rifiuta di incontrare il fratello minore.
Questa è la storia che non è ancora scritta. Il lieto fine della storia non è ancora scritto. C’è un primo lieto fine che è il ritorno e il ritrovamento del figlio da parte del padre. Ma non c’è il secondo lieto fine, quello che sarebbe il grande lieto fine e che renderebbe completa la gioia del padre: l’incontro e l'abbraccio tra i fratelli.
Nella nostra esistenza quotidiana siamo a volte il fratello che ha sbagliato, che ha toccato il fondo e si è reso conto del suo errore e torna indietro. Torna indietro perché sa che il padre lo riaccoglierà almeno come servo, ha almeno questa fiducia. E invece la parabola ci dice che, quando ci capita di fare grossi errori, il padre ci riaccoglie come figli e fa festa per noi e con noi. A volte siamo invece come il fratello che è rimasto a casa e si è sempre comportato bene. In tal caso, la parabola ci dice che la festa è anche per noi, che siamo anche noi invitati a festeggiare per il fratello ritrovato. E che faremmo un grosso errore a non volerlo come fratello solo perché ha sbagliato più di noi.
L’invito alla festa del perdono è per tutti, perché ha sbagliato di più e per chi ha sbagliato di meno. Ma è il padre che dà la festa, è il padre che invita. Se pensiamo di poter decidere noi chi sta dentro e chi sta fuori, finirà che rimarremo noi fuori, come il fratello maggiore.
Se invece riconosciamo fratelli e sorelle tutti e tutte coloro che il padre ha invitato, allora sarà una bellissima festa e nessuno rimarrà fuori.

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