martedì 24 maggio 2016

Predicazione di domenica 22 maggio 2016 su Romani 11,33-36 a cura di Marco Gisola

Romani 11,33-36
Oh, profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!
Infatti «chi ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi è stato suo consigliere?
O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì da riceverne il contraccambio?»Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.


Quanto conosciamo Dio? Quanto siamo a conoscenza dei suoi progetti e dei suoi giudizi? Molto poco dice Paolo in questa specie di inno, che inserisce a questo punto della lettera ai romani.
Colpisce questa frase a questo punto: Paolo ha appena scritto scritto pagine e pagine proprio su Dio, e nella parte che viene appena prima di queste parole ha affrontato in tre capitoli il delicatissimo tema del rapporto tra Dio e Israele.
Paolo ha appena parlato finora proprio dei giudizi di Dio e delle sue vie, per esempio quando due versetti prima ha scritto, riferendosi a Israele, che “i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili”.
Eppure, dopo aver scritto undici densi capitoli su Dio, anche Paolo deve ammettere: quanto poco conosco Dio, anzi quanto poco è possibile conoscere Dio: “Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!”.
Nessuno può pretendere di essere un consigliere di Dio, cioè di saperne più di lui; e nessuno può pretendere di avere qualcosa da offrire a Dio per averne un contraccambio, cioè di essere più ricco di lui. No, non è possibile. La profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio sono qualcosa di troppo grande per noi. Dio sa, noi no, noi non sappiamo, non sappiamo quasi niente di Dio.
E allora? Dobbiamo disperarci? Dio ci lascia brancolare nel buio? Paolo non sembra affatto disperato, anzi, Paolo conclude questo inno con una breve frase che contiene una specie di confessione di fede e una lode: Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose. A lui sia la gloria in eterno. Amen.
Perché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose è una piccola confessione di fede; Paolo ci dice che tutto esiste perché viene da Dio, grazie a Dio e per Dio. Anche noi. Anche tu esisti perché vieni da Dio, che ti ha dato la vita, grazie a lui che ti ha non solo creato, ma anche redento in Cristo e per lui, per vivere una vita alla sua gloria, cioè una vita piena di senso e di speranza.
E poi A lui sia la gloria in eterno. Amen è una lode: se Paolo fosse disperato per il fatto di conoscere così poco di Dio non concluderebbe con una lode. A lui sia la gloria in eterno. E l’ultima parola Amen vuol dire in fondo: non c’è nulla da aggiungere, è tutto.
Ho scritto pagine e pagine su Dio e sulla sua grazia e ho addirittura provato ad affrontare il rapporto di Dio e della sua grazia nei confronti di Israele, perché non potevo non farlo, ma adesso la mia ultima parola è: quanto poco conosco Dio, la mia ultima parola non può che essere questa: Quanto inscrutabili sono i suoi giudizi e ininvestigabili le sue vie!
Che cosa vuol dirci Paolo con tutto questo? Non cade in contraddizione? Prima parla a lungo di Dio, poi dice che le sue vie non le possiamo conoscere e poi termina con una lode.
Che cosa ci vuol dire? Io penso che Paolo ci voglia dire che, è vero che conosciamo molto poco Dio, che non conosciamo quasi nulla di Dio, ma che quel poco che conosciamo ci basta, è sufficiente, anzi più che sufficiente.
Più che sufficiente per confessare la nostra fede e per lodarlo. Più che sufficiente per avere fiducia e per essergli grati. Gesù non è venuto invano, è venuto a farci conoscere tutto quello che ci serve per avere fiducia e per lodare Dio.
È chiaro che di Dio conosciamo solo un frammento, che non lo conosciamo quasi per nulla, ma appunto quasi per nulla, perché quello che conosciamo, perché Gesù Cristo ce lo ha fatto conoscere, ci basta, ci basta per vivere nella fiducia e nella lode, nella speranza e nella gioia, nell’obbedienza e nella comunione.
E di conseguenza ciò che non conosciamo di Dio non sarà più così importante, perché ciò che conosciamo è l’essenziale. Conosciamo l’essenziale di Dio ma anche l’essenziale di noi stessi.
Perché in realtà anche di noi stessi in fondo conosciamo poco. Tanti aspetti di noi stessi ci sono sconosciuti, certe nostre azioni, reazioni, modi di fare e di agire non dipendono sempre dalla nostra volontà, ma da come siamo fatti dentro, nel profondo.
Del resto anche Paolo lo dice quando afferma che non fa il bene che vuole fare, ma fa il male che non vorrebbe fare.
Ma al di là della psicologia, la questione è un altra: la parola di Dio non ci rivela soltanto chi è Dio, ma ci rivela anche chi siamo noi. Ci dice, anche se non vorremmo mai ammetterlo, che siamo esseri bisognosi di perdono.
Siamo esseri bisognosi di perdono perché siamo incapaci di amare veramente, siamo incapaci a volte persino di vedere il nostro prossimo e le sue necessità, di accorgerci dell’altro e di che cosa ha bisogno, perché tendiamo a mettere noi stessi al centro di tutto.
Anche quando amiamo, lo facciamo spesso per essere amati a nostra volta. Quando parliamo di giustizia, pensiamo spesso ai nostri diritti e così via. Tendiamo a metterci sempre al centro, che è un atteggiamento molto umano, ma ingiusto.
Tutto questo noi non vorremmo vederlo e spesso cerchiamo di non vederlo, ma il Signore ce lo viene a dire: per questo Gesù è venuto tra noi.
Gesù ci ha insegnato a mettere al centro l’altro, il prossimo, che è una cosa molto difficile, e per impararla abbiamo davvero bisogno di lui. Lui stesso ha vissuto mettendo non se stesso al centro ma le persone che incontrava, dagli ammalati alle folle affamate, a tutte le persone bisognose di guarigione e di perdono.
E come ci dice che non siamo capaci ad amare? Amandoci! Gesù ci ha amato fino alla croce, morendo per quelli che lo hanno abbandonato, anzi di più: persino per quelli che lo hanno crocifisso!

Ecco l’essenziale che grazie a Gesù ora conosciamo: che siamo incapaci ad amare, ma che ciononostante siamo amati. E che l’amore di cui Dio ci ha amati in Gesù vuole trasformarci.
Nei primo versetti del capitolo successivo Paolo scrive: Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà.
L’amore di Dio vuole trasformarci, vuole trasformare la nostra mente, cioè il nostro modo di pensare e di vedere Dio e gli altri esseri umani. Vuole che conosciamo – di nuovo questo verbo – quale è la sua buona, gradita e perfetta volontà.
Dio non è il giudice, ma è il Dio di grazia, il Padre misericordioso da cui si può tornare anche quando si è toccato il fondo, come il figlio della parabola.
E gli altri non sono più estranei, ma sono il nostro prossimo, non importa se ci sono simili oppure no, non importa nemmeno se li conosciamo bene oppure no. Il samaritano della parabola non conosceva l’uomo ferito che ha soccorso e non l’ha mai conosciuto: è stato il suo prossimo nel momento in cui aveva bisogno di lui, punto e basta.

Per concludere, non è dunque un male se non conosciamo tutto di Dio, se i suoi giudizi rimangono inscrutabili e le sue vie rimangono ininvestigabili. In Gesù abbiamo conosciuto l’essenziale, cioè la sua volontà di grazia e di riconciliazione.
Questo ci basta. Ci basta per credere, ci basta per sperare, ci basta per vivere con fiducia e gratitudine la nostra esistenza quotidiana, i momenti belli della vita e anche quelli faticosi e dolorosi.
Ci basta per amare, per vivere la meraviglia dell’amore libero e gratuito, che non ha secondi fini, e ci basta per gioire quando questo amore viene donato e ricevuto.
Ci basta per lodare il Dio che ha fatto tutto ciò e ha reso possibile tutto ciò e dirgli anche noi: A lui sia la gloria in eterno. Amen




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