martedì 23 febbraio 2016

Predicazione di domenica 21 febbraio 2016, in occasione della ricorrenza della concessione dei diritti civili ai valdesi il XVII febbraio 1848, a cura di Marco Gisola

Luca 22,7-20
Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva sacrificare la Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni, dicendo: «Andate a prepararci la cena pasquale, affinché la mangiamo». Essi gli chiesero: «Dove vuoi che la prepariamo?» Ed egli rispose loro: «Quando sarete entrati in città, vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d'acqua; seguitelo nella casa dove egli entrerà. E dite al padrone di casa: "Il Maestro ti manda a dire: 'Dov'è la stanza nella quale mangerò la Pasqua con i miei discepoli?'" Ed egli vi mostrerà, al piano di sopra, una grande sala ammobiliata; qui apparecchiate». Essi andarono e trovarono come egli aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Quando giunse l'ora, egli si mise a tavola, e gli apostoli con lui. Egli disse loro: «Ho vivamente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi, prima di soffrire; poiché io vi dico che non la mangerò più, finché sia compiuta nel regno di Dio». E, preso un calice, rese grazie e disse: «Prendete questo e distribuitelo fra di voi; perché io vi dico che ormai non berrò più del frutto della vigna, finché sia venuto il regno di Dio». Poi prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: «Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi.

Giovanni 13,1-17

Or prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta per lui l'ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio se ne tornava, si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell'acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l'asciugatoio del quale era cinto. Si avvicinò dunque a Simon Pietro, il quale gli disse: «Tu, Signore, lavare i piedi a me?» Gesù gli rispose: «Tu non sai ora quello che io faccio, ma lo capirai dopo». Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!» Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». E Simon Pietro: «Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!» Gesù gli disse: «Chi è lavato tutto, non ha bisogno che di aver lavati i piedi; è purificato tutto quanto; e voi siete purificati, ma non tutti». Perché sapeva chi era colui che lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete netti».
Quando dunque ebbe loro lavato i piedi ed ebbe ripreso le sue vesti, si mise di nuovo a tavola, e disse loro: «Capite quello che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io. In verità, in verità vi dico che il servo non è maggiore del suo signore, né il messaggero è maggiore di colui che lo ha mandato. Se sapete queste cose, siete beati se le fate.

Galati 5,12-13

Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri; poiché tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso».



Oggi nel nostro culto ricordiamo il XVII febbraio 1848, quando i valdesi ricevettero i diritti civili grazie a un editto del Re Calo Alberto di Savoia. Prima essi dovevano vivere all’interno di un vero e proprio ghetto e se volevano uscirne per lavorare o studiare al di fuori delle loro valli dovevano diventare cattolici.

Leggiamo la parte centrale delle “Lettere Patenti” di Carlo Alberto:

“I valdesi sono ammessi a godere di tutti i diritti civili e politici dei nostri sudditi; a frequentare le scuole dentro e fuori delle università ed a conseguire i gradi accademici. Nulla però è innovato quanto all’esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”

Ma oggi è anche il nostro culto mensile con i bambini e ragazze di scuola domenicale e catechismo, con i quali abbiamo iniziato un percorso verso la Pasqua, che cercheremo oggi di intrecciare con la festa del XVII febbraio. Il nostro percorso lascia delle tracce su questo cartellone, su cui abbiamo incollato delle mani, due mani per ogni testo biblico che leggiamo in queste settimana fino a Pasqua.
Le mani (ritagliate) sono quelle dei bambini, ma rappresentano le mani di Gesù. Ci abbiamo scritto sotto che cosa fanno queste mani di Gesù: nell’ultima cena con i suoi discepoli, le mani di Gesù condividono il pane e il vino, che sono il segno della vita che Gesù darà per loro e per tutti morendo sulla croce.
Nell’altro racconto che abbiamo letto, quello della lavanda dei piedi, anch’esso situato in una cena di Gesù con i discepoli, le mani di Gesù servono, nel senso che fanno il lavoro che solo i servi facevano in alcune occasioni.
Mani che condividono, mani che servono: che cosa ha a che fare questo con la libertà? Forse a prima vista sembra che non c’entri nulla, ma in realtà c’entra molto. E che per Gesù il servizio c’entrasse molto con la libertà lo aveva capito molto bene l'apostolo Paolo, che ha scritto alle chiese della Galazia quelle parole chiarissime che abbiamo letto insieme:

“Perché, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; soltanto non fate della libertà un'occasione per vivere secondo la carne, ma per mezzo dell'amore servite gli uni agli altri”.

In due frasi Paolo ci offre un sunto del discepolato e dell’etica cristiana: libertà, amore, servizio. L'amore è quello che fa sì che il servizio possa essere libero e non servile, l’amore è quello che fa sì che la libertà sia servizio e non egoismo.
Liberi, sì, ma per servire. Non per altro; non sei libero (dovremmo dire: liberato) per te – o soltanto per te – ma sei libero (liberato) per gli altri. La libertà che Dio dona a te, non te la dona (solo) per te, ma te la dona per gli altri, perché tu la usi per gli altri.
I racconti che abbiamo letto dai vangeli di Luca e di Giovanni, entrambi racconti che fanno parte degli episodi della Passione di Gesù, ce lo dicono chiaramente. Nel vangelo di Luca Gesù celebra con i suoi discepoli la Pasqua ebraica.
Abbiamo letto con i bambini/ragazze questo racconto e ci siamo fermati sui verbi che descrivono ciò che fanno le mani di Gesù. Le mani di Gesù prendono, offrono il calice, poi prendono, spezzano, e danno il pane, infine alla fine della cena, danno un altro calice ai discepoli (Luca è l’unico vangelo che nel racconto dell’ultima cena ci parla di due calici, e in effetti nella pasqua ebraica si usavano e si usano non due ma quattro calici).
Prendere, dare, spezzare, prendere, dare… e in mezzo a tutto ciò non le mani, ma la voce di Gesù rende grazie, ovvero pronuncia (probabilmente) la tradizionale preghiera ebraica di ringraziamento per il cibo che benedice Dio, creatore dei frutti della terra, da cui sono fatti il pane e il vino.
Prendere, dare, spezzare, prendere, dare… ringraziare e benedire Dio; sono gesti molto semplici quelli che compie Gesù nel corso dell’ultima cena, che abbiamo riassunto con il verbo condividere: mani che condividono.
Gesti semplici ma carichi di significato, perché mentre Gesù – anzi le sue mani – fanno queste cose, la sua bocca, le sue parole dicono che cosa significano quei gesti: il pane è “il mio corpo che è dato per voi”, il “calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi”. Le mani di Gesù condividono il pane e il vino, ma Gesù dona la sua vita stessa, rinuncia alla sua vita per coloro ai quali sta donando pane e vino, e per tutti noi. Avremmo anche potuto scrivere “mani che donano”: come Gesù dà pane e vino così darà la sua vita stessa.
Nel racconto della lavanda dei piedi nel vangelo di Giovanni le mani di Gesù in realtà lavano. Ma il lavare i piedi dei discepoli, lavoro molto umile che facevano i servi e nemmeno sempre, perché era considerato un lavoro umiliante, è un esempio, dice Gesù stesso, che egli sta dando ai suoi discepoli: Gesù vuole che essi imparino non tanto a lavare i piedi, ma a “servire”. Abbiamo forse perso il senso di quanto sia rivoluzionaria questa parola; ai tempi di Gesù erano appunto i servi che servivano. Potete capire che cosa possono aver pensato i discepoli che vedevano in Gesù un liberatore – magari dai romani, che occupavano la loro terra – e trovano uno che li invita a diventare servi.
Se questa parola è scomoda oggi, a maggior ragione lo era allora. Gesù ci vuole servi, e Paolo esprime il paradosso dicendo che Gesù ci ha liberati per servire. Ma, allora: siamo liberi o servi? Tutte e due le cose. Un cristiano è libero e servo. Lo ha espresso forse meglio di chiunque altro Martin Lutero con le sue famosissime parole, che stanno proprio all’inizio del suo libro intitolato “la libertà del cristiano”:

un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa e non è sottoposto a nessuno
un cristiano è un servo zelante in ogni cosa, e sottoposto a ognuno

Non puoi essere cristiano se non sei tutte e due queste cose, un libero signore e un servo zelante. Libero, perché liberato da Gesù dalla colpa, dalla paura, da te stesso e dal tuo egoismo, libero perché liberato dalla schiavitù di qualunque altro signore che non sia il Dio liberatore, che libera Israele dall’Egitto, che libera noi dalla nostra colpa. Servo, perché la tua libertà non ti è data perché tu ne goda soltanto per te, tanto meno perché tu rendi altri schiavi, ma perché tu la usi per lavorare per la libertà degli altri e per la libertà di tutti, un lavoro che nel nostro mondo non è mai finito, perché purtroppo ci sono molte persone che non sono libere.
I valdesi del 1848 hanno usato la libertà che avevano ricevuto da Carlo Alberto (ma che loro hanno inteso come un dono di Dio) per predicare l’evangelo in tutta l’Italia, anche se – come abbiamo visto – Carlo Alberto non aveva dato loro la libertà di culto: “Nulla però è innovato quanto all’esercizio del loro culto ed alle scuole da essi dirette”. Non avrebbero potuto andare a predicare in giro per l’Italia, ma lo hanno fatto lo stesso, perché il clima “liberale” li aiutava, nonostante l’opposizione delle gerarchie cattoliche alla costruzione di diversi edifici di culto e scuole, come ad esempio il tempio di Corso Vittorio a Torino inaugurato nel 1853, solo cinque anni dopo, proprio nella capitale del regno.
E soprattutto perché è stato il loro modo di usare la libertà ricevuta e servire, servire l’Italia non solo con la predicazione, ma anche con le scuole che sono sorte quasi ovunque c’era una comunità che si stava formando, dalla valle d’Aosta fino alla Sicilia.
I valdesi erano finalmente liberi? Avevano ricevuto i diritti civili? Non potevano riposare sugli allori, non potevano accontentarsi di avere la libertà, la dovevano usare, usarla per servire, dovevano metterla al servizio di chi ne aveva bisogno, per esempio di tutti quei bambini e bambine che nell’Italia della seconda metà dell’ottocento erano analfabeti.
Le mani di Gesù erano libere quando compì i gesti di cui abbiamo letto oggi nella Bibbia; poche ore dopo, secondo i vangeli, cioè la sera stessa, dopo la cena, Gesù sarà arrestato e le sue mani non saranno più libere. Ma in questo momento le sue mani erano libere e Gesù usò la sua libertà – lui che era maestro e Signore – per condividere e per servire.
E le tue mani sono libere? Se lo sono, allora Gesù ci ha mostrato come usarle, come usare le nostre mani, le nostre gambe, la nostra testa, le nostre idee, il nostro tempo, le nostre energie…: per condividere e per servire.
Solo facendo così rimarremo e testimonieremo di essere davvero liberi, anzi: liberati ogni giorno dalla grazia liberante del Dio e Padre di Gesù Cristo.


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