domenica 1 novembre 2015

Predicazione di domenica 1 novembre in occasione della Domenica della Riforma, a cura di Marco Gisola

La Riforma è nata da una domanda di fede; la domanda era la seguente: che cosa vuol dire che “Dio è giusto”?
Tutti i cristiani hanno sempre creduto che Dio sia giusto. Ma in che cosa consiste la giustizia di Dio? La Riforma, in senso teologico, è nata da questa domanda.
Lutero, un anno prima di morire, scrive che la questione della giustizia di Dio lo angosciava, perché lui aveva sempre pensato – e così gli avevano sempre insegnato – che Dio è giusto e quindi punisce i peccatori ingiusti. E poiché Lutero non si sentiva giusto, era tormentato dall’idea che Dio non poteva che punirlo, perché si rendeva conto che non poteva riuscire a mettere in pratica tutta la volontà di Dio.
La risposta a questa domanda, e dunque la liberazione dall’angoscia che questa domanda gli provocava, Lutero la trova nella lettera ai Romani, al capitolo 1, laddove è detto che “Il giusto vivrà per fede” (Romani 1,17).
Lutero scopre che la giustizia di Dio non è quella per cui Egli premia i giusti e punisce i peccatori, ma è la giustizia che Dio ti dà nella sua misericordia. O con altre parole: la giustizia di Dio è identica alla sua misericordia, alla sua grazia.
C’è un altro brano della lettera ai romani in cui Paolo esprime questo in modo chiaro:


Romani 3,21-24
Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti: vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono - infatti non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio - ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù.

Due domeniche fa, nel culto che abbiamo fatto con i bambini, abbiamo detto che i primi cristiani hanno deciso che i pagani che credevano in Gesù non dovessero essere circoncisi, perché la fede in Cristo era sufficiente e rendeva tutti uguali.
Qui Paolo dice più o meno la stessa cosa partendo da un altro punto di vista: siamo tutti uguali innanzitutto perché siamo tutti allo stesso modo peccatori e siamo tutti allo stesso modo giustificati.
Tutti peccatori e tutti giustificati. Non ci sono non-peccatori e non ci sono persone che si giustificano – cioè che diventano giuste – da sole. È Dio che ti giustifica, è Dio che ti rende giusto, perché ti regala la giustizia di Gesù, che è l’unico giusto. Per questo Gesù è morto e risorto per noi, perché fossimo giustificati, perdonati, salvati.
Non c’è distinzione, dice Paolo, tutti sono peccatori e tutti sono giustificati. Ci vuole molta umiltà per accettare che non ci sia distinzione, perché tutti noi pensiamo – non dico di essere migliori degli altri (qualcuno lo pensa) – ma come minimo pensiamo di fare il nostro meglio. E sappiamo che c’è gente che invece fa del suo peggio, in questa società...
Questa è una delle sfide poste alla chiesa, che è la comunità dei peccatori giustificati: vivere veramente il fatto che non c’è distinzione, che tutti siamo uguali, nel peccato e nella giustifica-zione.
E in questa uguaglianza davanti a Dio, trovano spazio tutte le diversità e le differenze umane che caratterizzano la nostra umanità. Le differenze convivono perché ognuno, nella sua diversità, è ugualmente peccatore e ugualmente perdonato.
Non c’è distinzione, e fare distinzioni è qualcosa che non dovremmo permetterci di fare.
Vediamo allora una storia, una parabola che racconta Gesù, in cui un uomo credente di distinzioni ne faceva eccome, e pensava di essere molto meglio degli altri:

Luca 18,9-14
Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo". Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore!" Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato».

I farisei erano ebrei che volevano mettere in pratica tutta la legge di Mosè, e anche di più; volevano fare tutta la volontà di Dio. I pubblicani erano ebrei che raccoglievano le tasse per i romani, che erano gli invasori e per di più erano pagani; e per guadagnarci chiedevano più di quello che dovevano. Erano quindi molto malvisti.
Non c’è quindi dubbio che il fariseo fosse un credente migliore del pubblicano. Il fariseo era un bravo ebreo e il pubblicano era un pessimo ebreo. Come se nella nostra chiesa ci fosse uno che passa tutto il suo tempo libero a fare volontariato e un mafioso. Il primo sarebbe un buon cristiano, il secondo un pessimo cristiano.
La colpa del fariseo della parabola è che egli disprezza chi non è bravo come lui e pensa di meritarsi il perdono di Dio grazie a tutto quello che fa. E proprio lui, che pensava di meritarsi il perdono di Dio, che pensava anzi di esserselo guadagnato, non andrà a casa giustificato.
Mentre tornerà a casa giustificato il pubblicano, la cui preghiera è semplicemente: “abbi pietà di me peccatore!”. Lui ha capito che non ha nulla da offrire a Dio e che può solo sperare di ricevere da Dio il suo perdono. Si riconosce colpevole, questo è ciò che basta a Dio per perdonarlo. Il fariseo che non si riconosce colpevole non sarà perdonato.
Il fariseo è quasi giusto, ma proprio per questo è presuntuoso e pensa di non avere bisogno del perdono di Dio; il pubblicano invece è molto sbagliato, ma se ne è reso conto e si affida a Dio.
Che cosa vuol dire questa bellissima parabola? Che tutto il bene che ha fatto il fariseo non è un merito per avere la grazia di Dio e che tutto il male che ha fatto il pubblicano non è un impedimento alla grazia di Dio.
Ma vuol anche dire un’altra cosa: che non conta il passato, buono o malvagio che sia, ma conta come ora ti poni davanti a Dio.
Non conta che cosa hai fatto prima, l’importante è che ora vai davanti a Dio non come uno che ha qualcosa di cui vantarsi, ma come uno che non ha nulla né da vantarsi, né da offrire, ma che ha solo tutto da ricevere.

Questa è l’evangelo della grazia: da solo non ce la fai, ma c'è Dio che ti salva. Come una persona che non sa nuotare, se cade in mare, ha bisogno di qualcuno che la tiri fuori. Così è per il peccatore: ha bisogno che Dio lo "tiri su" e lo salvi. Ti puoi agitare finché vuoi, ma se non viene lui a salvarti non c’è nulla da fare.
Il fariseo si affanna cercando di salvarsi da solo, il pubblicano chiede a Dio che venga lui salvarlo.


E le opere allora? Ecco un altro brano, da un’altra lettera di Paolo:

Efesini 2,8-10
Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio. Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo.

È ovvio che Dio vuole le nostre buone opere, anzi ce le prepara, dice Paolo, cioè ci mostra che cosa è buono e che cosa vuole che facciamo. Paolo scrive che Dio ci ha creati in Gesù Cristo per le opere buone. Ma le nostre opere sono la conseguenza del perdono, non la causa.
La Bibbia è piena di indicazioni di cose da fare, anche le lettere di Paolo lo sono, prima fra tutte l’amore per il prossimo: ama il tuo prossimo come te stesso. Dio vuole che amiamo il nostro prossimo, ce lo chiede e molto insistentemente.
Dio ci perdona e ci chiede di fare la sua volontà. Non è che ci perdona se facciamo la sua volontà, se fosse così non ce la faremmo mai... se fosse così non otterremmo mai il suo perdono.
Dio ci perdona e ci chiede di fare la sua volontà. Quando abbiamo sperimentato il suo amore  e il suo perdono, allora possiamo anche noi amare il nostro prossimo e fare tante buone opere...! non per meritarci qualcosa, ma semplicemente perché ciò che Dio ci chiede di fare è giusto.
Una immagine che mi sembra efficace che mi è stata suggerita molti anni fa è la seguente: se facciamo finta che il perdono di Dio siano dei soldi possiamo immaginarci due diversi atteggiamenti di Dio; Dio potrebbe dirci:
1. se fai la mia volontà, ti do dieci euro. Questa è la teologia delle opere, quella che spaventava Lutero, perché lui si sentiva di non farcela, pur con tutto il suo impegno, a guadagnare quei soldi, cioè a guadagnare il perdono. In questo caso le buone opere e tutto quello che fai, lo fai per i dieci euro, non perché credi in quello che fai.
Oppure Dio potrebbe dirci:
2. Eccoti dieci euro, usali secondo la mia volontà. Questa è la teologia della grazia. Ecco dieci Euro, sei libero di usarli come decidi tu. Puoi sprecarli con le slot-machines o con le sigarette, oppure usarli per comprarti un libro, oppure per offrire un panino a chi ha fame: è una tua scelta. E quindi è anche una responsabilità che Dio ti dà: Io ti faccio un dono: usalo bene, come ti ho insegnato io. Così ci dice Dio.
Io ti faccio un dono: tu usalo bene. Questa è la grazia, che libera dal peso di guadagnarsi il favore di Dio con le opere e quindi ti libera per fare tante, tantissime buone opere, che fai perché ci credi e non perché devi, che fai perché è giusto farle e non per obbligo, non per ricevere un premio, non perché temi una punizione.
Le fai perché ci credi e le tue opere – potremmo dire: la tua vita – diventa il segno e la testimonianza del perdono ricevuto, come ringraziamento per il dono che Dio ti ha fatto.
Il dono che Dio mi ha fatto non devo ricambiarlo a Dio, ma al prossimo. Il bene che Dio ha fatto a me non devo ricambiarlo a lui, ma a te, a te, e a te … e dunque ecco qui le opere, o per usare un'altra parola: il discepolato, o se volete usare una parola grossa: l’etica.
Questo è l’evangelo secondo la Riforma protestante.
E la chiesa che ruolo ha in tutto ciò? La chiesa annuncia questo evangelo. Lo proclama, lo diffonde e ovviamente cerca di viverlo, di fare ciò che Dio vuole. La chiesa è una voce che annuncia la grazia ed è mani - le nostre mani – che operano ciò che Dio vuole.
La chiesa non dà il perdono, lo annuncia. Non amministra la grazia, la annuncia. Non impartisce la benedizione, la invoca. Non perché noi “di chiesa” siamo migliori degli altri, ma perché, anzi, essendo peccatori, abbiamo sperimentato il perdono di Dio e diamo agli altri questa bella notizia, che Dio è giusto e quindi misericordioso.
Il Signore ci aiuti a affidarci serenamente alla sua grazia e a mostrargli la nostra gratitudine con le nostre opere e la nostra vita di ogni giorno.
E ci aiuti a testimoniare tutto ciò con la nostra voce e le nostre mani.

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