domenica 4 ottobre 2015

Predicazione di domenica 4 ottobre su Luca 12,13-21 a cura di Marco Gisola

Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?» Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». E disse loro questa parabola:
«La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: "Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; ripòsati, mangia, bevi, divèrtiti'".  Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?"  Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio».


Gesù sta istruendo i suoi discepoli in vista della loro missione futura, quando viene interrotto da uno della folla che gli chiede un aiuto pratico: gli chiede di dirimere una questione giuridica, di eredità. Quest’uomo è in discussione – o forse sta litigando – con il fratello per via di un’eredità e chiede a Gesù di risolvere questa questione, da fare da “arbitro” o da “spartitore”. Evidentemente, a quei tempi, c’erano persone che avevano questo compito specifico in caso di eredità contese.
Ma Gesù rifiuta di prestarsi a fare lo “spartitore”, ha cose più importanti da fare e da dire. E prende lo spunto dalla richiesta di quell’uomo che gli chiedeva un aiuto per risolvere una questione di proprietà, di beni materiali, per dare un insegnamento proprio riguardo ai beni materiali e alle proprietà.
La parabola è molto nota: l’uomo ricco si preoccupa di come e dove conserverà i suoi raccolti e mentre fa progetti di abbattere e costruire granai ancora più grandi, non sa che la notte seguente dovrà morire. Non dobbiamo equivocare il senso di questa morte: non è la punizione per i suoi pensieri e per i suoi progetti. La morte che lo coglierà la notte seguente – io così l’ho intesa – è una morte naturale, e rappresenta il limite con cui egli non ha fatto i conti, perché è accecato dal suo delirio di onnipotenza e dal suo affanno di accumulare sempre più beni.
Egli pensa di poter disporre di tutto, sempre. La sua avarizia, o cupidigia, gli impedisce di vedere il limite. Non vede il limite, perché vede solo se stesso e vive solo per se stesso.
Gesù è sempre un maestro nel narrare le sue parabole: in questa parabola c’è un solo personaggio, perché nella vita di quest’uomo c’è un solo personaggio: lui stesso. l’uomo ricco basta a se stesso, parla persino con se stesso, non ha bisogno di altri interlocutori, è un dialogo tra sé e sé, è una vita tra sé e sé. Nella parabola c’è solo lui perché nella sua vita c’è solo lui.
Il grande assente nella parabola e nella sua vita è l’altro, l’altro essere umano, il prossimo, ma anche l’Altro, cioè Dio. Non accumula a vantaggio – per esempio – dei figli (ammesso che ne abbia), che almeno sarebbero un prossimo per cui lui si preoccupa. Accumula a suo esclusivo vantaggio e la sua vita è totalmente egocentrica.
Più volte torna nel dialogo che l’uomo fa con se stesso l’aggettivo possessivo: i miei raccolti, i miei granai, il mio grano, i miei beni, dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni’...
Tutto ruota intorno a ciò che è suo. La morte improvvisa rappresenta ciò che non è suo, ovvero ciò che non è a sua disposizione, ciò che non può governare lui con la sua volontà.
“L’anima tua ti sarà ridomandata”: questa frase non è una minaccia, che vuole dirci che nel fare i nostri progetti dobbiamo fare i conti con la morte; essa piuttosto vuole dirci che nel fare i nostri progetti dobbiamo fare i conti con la vita e sapere ciò che conta veramente nella e per la nostra vita: «guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita».
La riflessione di oggi si ricollega a quella di venerdì sera sul primo comandamento: la colpa di quest’uomo è in fondo l’idolatria, egli fonda la sua vita sull’idolo della proprietà e da lì si aspetta la sua felicità.
E come dicevamo venerdì, dietro questa febbre del possesso e del possedere sempre di più, c’è in fondo l’idolatria di se stessi. L’uomo idolatra se stesso, desidera più di ogni altra cosa di essere felice con se stesso e pensa di poter ottenere questo attraverso i suoi beni.
E in questo non è cattivo, è stolto. Dobbiamo fare attenzione a come consideriamo il protagonista della parabola; la parabola non ci dice che l’uomo sia malvagio o ingiusto, non ci dice che le sue ricchezze siano frutto di azioni cattive o di ingiustizie. Magari l’uomo ha semplicemente lavorato duro e il raccolto è stato straordinariamente ricco.
Il “giudizio”, se così vogliamo dire, sull’uomo non è tanto un giudizio morale. Egli non ha trasgredito la legge e non ha fatto del male a nessuno. Non viene giudicato empio, malvagio; piuttosto l’uomo viene giudicato stolto, cioè sciocco.
Egli ha cercato la sua felicità e il senso della sua vita, laddove non c’è: nei beni. Questo indica la morte improvvisa: che la vita che quell’uomo si augurava non è dove egli la cercava. La vita va cercata altrove, e lungo tutto il suo ministero Gesù ha ripetuto più volte dove si trova la vita, nel duplice senso di senso della vita e anche di felicità.
Se Luca inserisce questo racconto nel suo vangelo, significa che la cupidigia e l’avarizia erano evidentemente problemi sentiti nelle prime comunità cristiane.
Le prime comunità erano probabilmente composte, forse in maggioranza, da poveri conquistati dal messaggio di liberazione di Gesù, ma anche da persone benestanti, come il contadino della parabola.
E probabilmente si era sperimentato che la cupidigia - oltre  a essere causa o segno di ingiustizia sociale – rovinava la comunione all’interno della chiesa.
Ecco dunque la necessità di mettere alcune cose in chiaro: la vera vita è altrove, non nei beni materiali e nel loro accumulo.
Dove sia la vita, Gesù lo dice in molti altri passaggi e lo dice anche subito dopo questo racconto, quando fa ai suoi discepoli il famoso discorso sulle preoccupazioni, e dice loro di non essere in ansia per la loro vita ecc. (lo abbiamo letto nella versione di Matteo due domeniche fa).
La vera vita è nell’affidarsi a Dio, non nell’essere ansiosi; è nel donare, non nell’accumulare. La vera vita è nella libertà – per tornare ancora alla riflessione sul primo comandamento di venerdì sera – nella libertà dalla schiavitù dei beni materiali, che non vuol dire non possedere nulla, ma vuol dire essere contenti del necessario usare ciò che si ha nella riconoscenza e nella condivisione.
Ho usato il verbo “essere contenti” e non “accontentarsi” perché accontentarsi ha una sfumatura negativa, mentre essere contenti è positivo. Dio ci vuole contenti, non ci vuole frustrati! Ma ci insegna a essere contenti di ciò che è sufficiente, non di più.
E sopratutto ci insegna a cercare la vita – ovvero il senso della vita e la felicità – con gli altri, e non da soli. La solitudine dell’uomo della parabola colpisce, Gesù non dice esplicitamente che l’uomo è solo, ma lo descrive così: solo con se stesso.
«Quello che hai preparato, di chi sarà?» la domanda “per che cosa vivi?” sembra qui diventare “per chi vivi?” E non nel senso dell’eredità, perché come abbiamo detto nella parabola non è centrale la morte, che rovina i progetti dell’uomo, ma la vita che egli ha condotto fino a qui. Per chi vivi, qui ed ora?
Per chi vivi? Per i tuoi granai? Per dei beni? Per te stesso? Sei stolto, dice Gesù. Vivi per qualcuno, non per qualcosa. Vivi la tua vita con qualcuno, non da solo. Non da solo e non per te solo. Vivila alla presenza di Dio, sotto il suo sguardo, nell’orizzonte del suo perdono,  nell’ascolto della sua Parola e non sarai solo.
Lì troverai i veri tesori, quelli che danno senso alla tua vita e la riempiono non di beni, ma di bene; non di ansia, ma di riconoscenza e di gioia per i doni che il Signore ci fa ogni giorno.
Non sarà ciò che accumuli e nemmeno ciò che fai, ma sarà ciò che ricevi che darà senso alla tua vita e ti renderà felice.

giovedì 1 ottobre 2015

Culti serali mensili

Venerdì 2 Ottobre, ore 20,30 riprendono i culti serali mensili

Ogni primo venerdì del mese ci incontriamo per un breve culto serale nel quale rifetteremo sui Dieci Comandamenti (Esodo 20,1-17)

Venerdì 2 riflettiamo sul prologo e sul primo comandamento:


«Allora Dio pronunciò tutte queste parole:

Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, 

che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù.

  Non avere altri dèi oltre a me»

(Esodo 20,2-3)


predicazione su Matteo 6,25-34 di domenica 20 settembre 2015 a cura di Marco Gisola

25 «Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un'ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l'erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. 33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno.
Il testo per la predicazione di oggi, che abbiamo ascoltato dal vangelo di Matteo, fa parte del sermone sul monte, il famoso discorso che Gesù tiene a una gran folla riunita che lo ascolta e che che l'evangelista Matteo ha raccolto nei capitoli da 5 a 7 del suo vangelo.
Questo testo biblico è un invito a orientare la nostra vita nella direzione giusta, una direzione che riempia di senso la nostra vita, che la renda una vita degna di essere vissuta.
Vorrei evidenziare due cose da questo testo.
La prima riflessione prende spunto da due paroline di questo brano, due paroline in sé insignificanti che però danno il senso a tutte le altre parole molto dense del discorso di Gesù. La prima è la parolina “più”: «Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?».
La vita è qualcosa di più del nutrirsi e del vestirsi. Non che nutrirsi e vestirsi non siano importanti, anzi, sono cose necessarie come sanno bene quelli che non hanno da mangiare e da vestirsi, ovvero le cose basilari per sopravvivere. E quando non si hanno queste cose, vuol dire che si vive in una miseria estrema.
Ma – dice Gesù – non viviamo del necessario o per il necessario, viviamo di e per qualcosa di più. La vita è qualcosa di più, questo è il primo messaggio che riceviamo da questo brano. La vita è qualcosa di più del necessario. Può sembrare banale ma non lo è.
La questione è che il concetto di necessario nella nostra società dei consumi si è esteso e si estende quasi all’infinito. Il mondo in cui viviamo ci vuole far credere che sempre più “cose” materiali ci sono necessarie.
Non solo più cibo e vestiti – che sono effettivamente necessari – ma un elenco lunghissimo di cose che ci sembrano necessarie e invece non lo sono.
E qui non ci sono distinzioni tra ricchi e poveri, perché a volte i ricchi desiderano avere sempre di più e i poveri desiderano semplicemente avere quello che hanno i ricchi e non possono avere. Sia i ricchi, sia i poveri possono essere guidati dal desiderio di avere, solo che uno ce la fa e l’altro no.
Ed ecco allora l’altra parolina; dopo il «più», il «prima»: «cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia». Che cosa viene prima, che cosa deve orientare veramente la tua esistenza? Il regno di Dio e la sua giustizia.
Che cosa cerchi ogni giorno? Che cosa guida le tue scelte? Le cose materiali, che hai sei ricco; e che vorresti avere, se sei povero? Oppure qualcos'altro? Oppure il regno di Dio e la sua giustizia?
Non credo sia un caso che Gesù metta fianco a fianco la parola “regno di Dio” e la parola “giustizia”. Perché se il regno di Dio è l'espressione massima della giustizia di Dio, che è misericordia, che non ci appartiene, che non possiamo afferrare fino in fondo, qui sulla terra la cosa che somiglia di più al regno di Dio, che riflette un pochino della meraviglia del regno è la giustizia.
Se la nostra vita è orientata al regno di Dio che ci attende, allora essa è orientata dalla giustizia, dalla ricerca della giustizia, e dunque della pace, dell’uguaglianza, della libertà. Questa è vita nel senso pieno del termine, nel senso dell’evangelo, secondo Gesù.
Vita in cui c’è abbondanza, ma non di cose, di proprietà, ma abbondanza di amore, di relazioni umane, di comunione e amicizia, di affetto e fraternità, ma anche abbondanza di speranza e di impegno affinché il mondo sia più simile al regno di Dio, al regno di giustizia e pace che Dio vorrebbe per i suoi figli e le sue figlie.
Cercate prima il regno e la giustizia di Dio perché la vita è più del nutrimento e del vestito: un programma che è una sfida per ogni nostra giornata.

Ma perché non dobbiamo essere in ansia per le cose materiali? Perché queste cose Dio ce le ha già date! : «il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose». Questo la seconda riflessione che vorrei fare con voi. Dio nutre gli uccelli del cielo, veste i gigli dei campi, nutre e veste anche te. Questo non è romanticismo, non è ingenuità premoderna: questa è fede, fede nel Dio che si occupa quotidianamente delle sue creature.
Il fatto che parte dell’umanità ruba e distrugge quello che dovrebbe essere anche dell’altra parte dell'umanità, ovvero di tutti, non toglie che per l’evangelo tutto ciò che siamo e che abbiamo – non che abbiamo io e te, ma ciò che l’umanità nel suo insieme ha a sua disposizione – è dono di Dio.
Noi a volte pensiamo che ciò che abbiamo e ciò che siamo sia merito nostro o sia nostro diritto averlo, dimenticando che è dono di Dio e dono di Dio per tutti. Tutto ciò che ci serve per vivere è dono di Dio, la vita è dono di Dio. Un dono è per definizione gratuito. Noi viviamo in una società che invece ha monetizzato tutto, tutto ha un valore che va pagato, tutto si compra o si vende. E noi siamo completamente presi da questo meccanismo.
La prospettiva della Bibbia è molto diversa: tutto è donato, Dio ha donato tutto all'umanità, dall'aria che respiriamo, all'acqua che beviamo, alla terra su cui camminiamo o che coltiviamo, alle ricchezze che stanno sotto la terra. Tutto Dio ha donato all'umanità. Solo che alcuni si sono impossessati dei doni di Dio, hanno detto "questo è mio e se lo vuoi io te lo vendo e tu me lo paghi". Pensiamo al petrolio e a tutte le altre risorse e alle guerre che si fanno per averle. 
Ecco una sfida che questa parola ci pone: riscoprire il valore della gratuità e del dono, cercare di costruire relazioni tra le persone e i popoli non più basate sul possesso - "questo è mio" - e sul denaro – "se lo vuoi te lo vendo"...
Ma basate sulla gratuità e sulla consapevolezza che i doni di Dio non sono proprietà privata di nessuno ma sono per tutti e che come riceviamo gratuitamente i doni di Dio, siamo chiamati a condividerli gratuitamente.
Concludendo, l’evangelo ci invita oggi a due cose: ci invita a affidarci, il che non vuol dire stare ad aspettare senza fare nulla, ma vuol dire riconoscere come dono tutto ciò che abbiamo e dunque imparare a donare e a condividere quello che Dio ha donato a tutta l’umanità.
E ci invita poi a una ricerca instancabile del regno e della giustizia di Dio, che viene prima di tutto il resto, ci insegna a non limitarci a sopravvivere, ma a guardare oltre e più in alto, perché la vita è di più che sopravvivere. Ci dà un senso, uno scopo, e anche una speranza.
Come ha detto un pastore, commentando questo passo «La parola di Gesù non ci libera dalle necessità materiali, ma ci libera dalla schiavitù spirituale […] a queste necessità». Se non siamo schiavi di queste necessità, se riconosciamo che non sono i nostri sforzi, ma è Dio che ci nutre e ci veste, siamo anche liberi di cercare con gioia il regno di Dio e la sua giustizia.
Ci dia il Signore di saper vivere di questa ricerca del regno e della giustizia e di saper vivere della fiducia che egli si cura di noi.