lunedì 9 febbraio 2015

Predicazione di domenica 1 febbraio 2015 su Matteo 20,1-16 a cura di Marco Gisola

1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa, il quale uscì di mattino presto per assumere dei lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con i lavoratori per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito di nuovo verso l'ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: "Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che è giusto". Ed essi andarono. 5 Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso. 6 Uscito verso l'undicesima, ne trovò degli altri che se ne stavano là e disse loro: "Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?" 7 Essi gli dissero: "Perché nessuno ci ha assunti". Egli disse loro: "Andate anche voi nella vigna". 8 Fattosi sera, il padrone della vigna disPse al suo fattore: "Chiama i lavoratori e da' loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi". 9 Allora vennero quelli dell'undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno. 10 Venuti i primi, pensavano di ricevere di più; ma ebbero anch'essi un denaro per ciascuno. 11 Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo: 12 "Questi ultimi hanno fatto un'ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo". 13 Ma egli, rispondendo a uno di loro, disse: "Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest'ultimo quanto a te. 15 Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sia buono?" 16 Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi».

È giusto, care sorelle e fratelli, pagare con lo stesso salario un operaio che ha lavorato dodici ore in un giorno, dall’alba al tramonto, e un altro che invece ha lavorato soltanto un’ora, nel fresco della sera? E non è un po’ strano questo padrone, che stabilisce di pagare una certa somma agli operai ingaggiati al mattino presto, e poi dà la stessa somma anche a chi ha iniziato a lavorare alle cinque del pomeriggio?
Nessun lavoratore riterrebbe equo un trattamento del genere e d’altra parte nessun datore di lavoro si comporterebbe mai così. Non è questa la logica del mondo del lavoro. Ma è questa la logica del regno di Dio: questa parabola di Gesù parla del regno di Dio e vuole mostrare come Dio si comporta con gli esseri umani.
Nel regno di Dio - ma non solo nel senso dell’aldilà, anche qui ed ora, quindi nel regno di Dio nel senso di: davanti a Dio - non vige il principio del tanto mi dà tanto, non vale lo schema secondo il quale a una data prestazione corrisponde una proporzionale ricompensa.
Questa idea della ricompensa o del contraccambio non appartiene a Dio e al suo regno. Appartiene purtroppo invece al nostro mondo e determina molte relazioni umane e sociali.
Appartiene certo al mondo del lavoro, dove però purtroppo vediamo che sempre più è la logica della produttività che si impone e non quella dell’impegno. Dove i meriti che si vogliono misurare non corrispondono all’impegno, ma alla produttività, e così di nuovo i più deboli o i più lenti vengono tagliati fuori.
Ma aldilà del mondo del lavoro, quando la logica del contraccambio determina le relazioni umane e sociali, esse rischiano di essere misurate quantitativamente.
Ricorderete quella parola in cui Gesù dice che se si vuole fare un pranzo e avere degli ospiti, di non invitare parenti e amici, che poi contraccambieranno l’invito, ma di invitare invece i poveri, i ciechi, gli zoppi, cioè le persone che non possono contraccambiare l’invito, perché vivono di elemosina e non hanno nulla con cui contraccambiare.
Siamo di nuovo lì, a quel punto che ci è particolarmente caro e che è Gesù non smette mai di mettere al centro della sue predicazione: la gratuità. Così si comporta Dio e così chiede a noi di comportarci: agire senza calcolare, senza misurare, senza pensare al contraccambio.
Non è quella del contraccambio la logica di Dio. Il testo ci dice innanzitutto che la prima caratteristica dell’agire di Dio è la sua assoluta libertà: “io voglio dare a quest'ultimo quanto a te. Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio?”, dice il padrone.
Come il padrone è libero di dare quanti soldi vuole agli operai indipendentemente dalle prestazioni compiute, così Dio è libero di donare la sua grazia a chi vuole, indipendentemente dalle prestazioni compiute. Questo è il senso della parabola.
La parabola ci dice altre due cose sulla libertà d Dio e su come egli la usa: intanto il padrone – che era libero, a quei tempi, di dare il salario che voleva ai suoi operai (non c’erano sindacati, ma sappiamo che anche oggi, molti lavoratori sono senza tutela...) - si era vincolato a un patto, stretto prima che i lavoratori della prima ora iniziassero a lavorare.
E il padrone rispetta il patto. Ai lavoratori che hanno iniziato a lavorare alle sei di mattina dà esattamente quello che aveva pattuito. Il padrone, con gli altri, utilizza la sua libertà solo ed esclusivamente per dare a chi ha lavorato meno ore lo stesso salario che riceve chi ha lavorato di più. Utilizza la sua libertà solo per dare di più.
Che poi, ci fanno notare gli esperti, un denaro era ciò che serviva per sfamare una famiglia per un giorno, quindi se volessimo guardare la storia da questo punto di vista, il padrone dà da mangiare per un giorno a tutti, senza guardare quanto hanno lavorato. Con meno di quel denaro, alcune di quelle famiglie non avrebbero mangiato.
Ma al di là di questo – che pure è importante – la parabola vuol dirci che Dio usa la sua libertà solo per dare di più, non per dare di meno. Non dà di meno ai lavoratori della prima ora, dà di più a quelli dell’ultima e della penultima, ecc. in modo di dare a tutti ciò di cui hanno bisogno.
E così tutti gli operai ricevono lo stesso salario, lo stesso trattamento. Questo non corrisponderà alla nostra idea umana matematica di giustizia, ma questa è la giustizia di Dio.
Ed è davvero una bella notizia, se pensiamo che noi cittadini del primo mondo viviamo una vita piena di “ansie da prestazione”. Il comandamento del mercato, che governa la nostra società è: “produrre di più per guadagnare di più”, dunque “lavorare di più per produrre di più”, e rimanere competitivi, restare dentro il mercato.
La logica del “tanto mi dà tanto” crea infatti competizione e la competizione provoca rivalità e invidia. E così il concorrente diventa un nemico e prevale la legge del più forte: il più forte vince, il debole soccombe.
Davanti a Dio non è così, Dio non si lascia pilotare da noi e dalle nostre prestazioni. Non ci possiamo guadagnare la benevolenza di Dio facendo un po’ più degli altri, fornendo prestazioni un po’ più alte o migliori degli altri. Quindi davanti a Dio non vi è concorrenza, non vi è prestazione che si possa accampare per ottenere qualcosa in più degli altri. E davanti a Dio non c’è invidia, non c’è rivalità, non c’è competizione.
Non è questo un evangelo, una buona, anzi meravigliosa notizia, che porta qualcosa di nuovo e luminoso nel buio del nostro mondo pieno di invidie e competizioni? Uscire dalla logica del calcolo e del “tanto mi dà tanto” è l’invito che ci rivolge oggi questa parabola.
Dio non vuole avere con noi una relazione basata sul calcolo, bensì una relazione basata sulla fiducia e sulla responsabilità. E anche sulle reali necessità di ciascuno.
Dio non dà meno di quello che abbiamo bisogno, come il padrone non dà meno di quello che tutti gli operai hanno bisogno – anche quelli che hanno lavorato un’ora sola.
Il padrone della vigna dà tutto ciò di cui hanno bisogno quegli uomini e quelle famiglie per mangiare quel giorno. Dio dà a noi tutto il perdono di cui abbiamo bisogno, perché non avrebbe senso riceverne meno che tutto. Il perdono, l’amore, o è “tutto” oppure non è, un po’ di perdono, un po’ di amore non serve. Serve tutto.
Altrimenti Dio non sarebbe buono, ma sarebbe un burlone, per non dire crudele. “vedi tu di mal occhio che io sia buono?”, chiede il padrone all'operaio della prima ora invidioso di quello dell’ultima ora. E per essere davvero buono non può che dare a tutti da mangiare per quel giorno.
E così – se proprio vogliamo misurare ciò che non è misurabile - chi ha più colpe riceverà più perdono, perché il perdono non può che essere tutto, appunto. Un assassino avrà bisogno di maggior perdono di una persona che cerca sempre di comportarsi bene. Proprio perché il perdono non può che essere tutto.
Ma non sta a noi dire a Dio come deve fare e quanto e chi deve perdonare. Ce lo dice lui con questa parabola. A ciascuno dona ciò di cui ha bisogno, niente di meno.
Quando ci capiterà di essere nei confronti di Dio i lavoratori della prima ora e faticare tutto il giorno per fare la sua volontà, ricordiamo di non essere invidiosi di chi riceve la stessa grazia per aver fatto molto meno.
Se invece qualche volta ci capiterà – e ci capiterà – di essere i lavoratori dell’ultima ora e ci accorgeremo che il Signore dona a noi quello che ha donato agli altri che hanno faticato più di noi, in questo caso sperimenteremo la bontà di Dio e gli saremo grati del fatto che la logica del suo agire non è il calcolo, ma è la grazia.

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