mercoledì 7 gennaio 2015

Predicazione di domenica 4 gennaio 2015 su Luca 2,41-52, a cura di Massimiliano Zegna

I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Quando giunse all'età di dodici anni, salirono a Gerusalemme, secondo l'usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva, camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;  e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo. Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte. Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena».  Ed egli disse loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio?»  Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro. Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini

Soltanto l'Evangelo di Luca ci descrive questo episodio della fanciullezza di Gesù. Ed è molto significativo e apparentemente molto semplice da leggere e lineare nel suo racconto. Pare un episodio della vita di tutti i giorni di molti di noi, anche nella nostra epoca. Mancavano solo i telefonini cellulari che, forse in breve tempo avrebbero risolto l'attesa dei genitori ma, come si sa, i cellulari non sempre hanno campo per essere in comunicazione tra loro!
Questa volta, contrariamente al mio stile che non vuole mai essere troppo analitico dei brani dell'Evangelo, preferisco rileggere frase per frase questo episodio della “sacra Bibbia” nel testo della “Nuova riveduta” della società biblica di Ginevra.
Il brano è intitolato “Gesù dodicenne al tempio”.
E inizia così: “I suoi genitori andavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua”.
Quindi nel racconto di Luca, al secondo capitolo dell'Evangelo, che si apre con la nascita di Gesù a Betlemme, dopo pochi minuti di lettura, passano velocemente gli anni e si giunge fino alla Pasqua di alcuni anni dopo, non senza sottolineare che i genitori di Gesù erano molto devoti e si recavano ogni anno a celebrare la festa di Pasqua. 
Sembra quasi un film biografico in cui il regista, per esigenze di contenere in un paio d'ore la visione per il pubblico, descrive la fanciullezza di un uomo in poche scene.
“Quando giunse all'età di dodici anni – prosegue il brano - salirono a Gerusalemme secondo l'usanza della festa; passati i giorni della festa, mentre tornavano, il bambino Gesù rimase in Gerusalemme all'insaputa dei genitori; i quali, pensando che egli fosse nella comitiva camminarono una giornata, poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; e, non avendolo trovato, tornarono a Gerusalemme cercandolo”.
Come dicevo prima, i genitori di Gesù erano ebrei osservanti e come tali ogni anno si recano con una comitiva di persone formata da parenti e conoscenti a Gerusalemme  per festeggiare la Pasqua e per la prima volta portano con sé Gesù ormai dodicenne. E' l'età che si avvicina al suo bar-mitzvah che significa figlio del comandamento e tale era considerato l'ebreo maschio che al tredicesimo compleanno diventa responsabile delle proprie azioni religiose e morali. Durante tale cerimonia il giovane è invitato a leggere un brano dei libri profetici di fronte all'assemblea.
Vi è quindi un'azione anticipatrice al momento di questo rito (che per i cristiani cattolici può ricordare la cresima mentre per noi cristiani valdesi protestanti fa pensare alla confermazione).
Ma qui succede il fatto imprevedibile che Gesù rimane a Gerusalemme all'insaputa dei genitori i quali, pensando fosse nella comitiva, camminarono per una giornata senza accorgersi che non era più presente.
Noi che leggiamo oggi questo episodio possiamo stupirci di come sia successa questa dimenticanza e, prima scherzando, dicevo che forse con i cellulari non sarebbe successo però dobbiamo considerare che a quell'epoca si facevano questi lunghi tratti a piedi (da Nazaret a Gerusalemme sono circa 150 chilometri) e i figli non rimanevano sempre, come si suol dire, attaccati alle gonne delle madri, ma potevano intrattenersi con familiari e conoscenti per socializzare ed avere dialoghi e discussioni con loro.
A questo punto che cosa era successo? “Tre giorni dopo lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri: li ascoltava e faceva loro delle domande; e tutti quelli che l'udivano, si stupivano del suo senno e delle sue risposte”.

Per noi che già conosciamo la storia di Gesù il commento può essere chiaro. Gesù era sicuramente un “giovane speciale” e forse anticipando di un anno il momento del bar-mitzvah rimane nel tempio, ma non solo ascolta le parole dei  maestri ma si mette lui stesso a fare domande ai maestri provocando il loro stupore.
La nostra attenzione si ferma sul periodo in cui i genitori di Gesù impiegano a cercare il figlio: tre giorni! E sono gli stessi giorni in cui i discepoli impiegano a ritrovare il Risorto dopo la morte.
Vorrei a questo punto soffermarmi su quello che è il significato di questo brano al di là di quella che può essere una semplice lettura, parola per parola, frase per frase.
L'insegnamento è quello che certamente Gesù era un bimbo speciale e poteva insegnare ai maestri, ma tutti i bimbi possono essere speciali e possono abbattere o modificare le nostre certezze. Daremmo noi ascolto ad un adolescente quando cerca di spiegarci qualcosa che dopo letture o riflessioni intende trasmetterci? Molto spesso no perché pensiamo che con la nostra età, con le nostre esperienze possiamo essere noi più sapienti di lui e sicuramente possiamo primeggiare.
Invece dovremmo essere capaci ad essere più umili e obiettivi e comprendere che vi sono situazioni che non sempre la nostra età o la nostra conoscenza possono farci ritenere più bravi rispetto a chi ha molti anni meno di noi.
Nella chiesa cattolica questo bravo dell'Evangelo di Luca veniva letto durante quella che viene definita la festa della sacra famiglia o della santa famiglia. Il modello che si indicava era quello di Maria, Giuseppe e il bambino Gesù. Già papa Francesco ha voluto dare indicazioni un po' diverse dal passato di una chiesa cattolica che giudicava le famiglie di fatto, le famiglie divorziate o non sposate o senza figli troppo lontane dal modello della sacra famiglia.
Oggi le sensibilità stanno cambiando e una famiglia può essere composta da due o da dieci persone, da persone con storie diverse, con orientamenti sessuali diversi e quelle che erano certezze del passato si stanno mostrando fortunatamente non così granitiche e così univoche. Anche gli stessi animali possono ormai fare parte di una famiglia. E lo stesso brano di Gesù dodicenne dimostra che possono esserci modi diversi di leggere una stessa situazione.
Gli stessi genitori di Gesù perdono di vista il loro bambino ormai adolescente perché inconsapevolmente si rendono conto che Egli sta lasciando i panni del bimbo e quindi quella che è definita la comitiva diventa un punto di riferimento per chi è adulto. La comitiva intesa come una comunità di persone che si dirigono verso mete comuni: 
un pellegrinaggio, un evento culturale, sportivo, ricreativo.
Sarà comunque Gesù stesso a spiegare il perché si è trattenuto a Gerusalemme nel tempio.
“Quando i suoi genitori lo videro, rimasero stupiti; e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena”. Ed egli disse loro: “Perchè mi cercavate? Non sapevate che io dovevo trovarmi nella casa del Padre mio? Ed essi non capirono le parole che egli aveva dette loro”.
La risposta di Gesù può sembrare sgarbata nei confronti della madre ma segna un passaggio importante di chi sta per diventare adulto.
Certo nel caso di Gesù il ragionamento può essere di stupore in quanto padre e madre conoscono l'origine di Gesù stesso, ma come dicevo prima può essere adattato a tutti gli adolescenti.
L'adolescente desidera che i genitori si accorgano di quando non si è più bambini. Il taglio del cordone ombelicale spesso però avviene tardi ed è un fenomeno che specialmente in Italia e nei paesi latini succede spesso.
Occorre invece che vi sia più consapevolezza di quando bisogna passare da genitore a persona con pari dignità fra generazioni e soprattutto comprendere quando su certe questioni sarà il figlio o la figlia ad insegnare ai genitori come nel caso dell'utilizzo di nuove tecnologie. E questo vale in ogni caso nel rapporto tra donne e uomini di generazioni diverse, quindi non necessariamente fra madri, padri e figli.
Questa considerazione è importante e vale non solo tra le generazioni, ma anche nel rapporto tra popolazioni diverse.
Ogni Natale così come ogni Pasqua può essere l'occasione della rinascita ed anche per quanto riguarda le comunità e le stesse chiese devono sempre rinascere e quindi riformarsi.
Fa piacere che la locuzione latina “Ecclesia semper reformanda est” (considerata una delle affermazioni fondamentali della Riforma protestante) sia stata utilizzata dallo stesso papa Francesco in una recente omelia.
Questa espressione fu usata per la prima volta dal teologo calvinista olandese Jodocus van Lodenstein nel 1642 nell'ambito della chiesa riformata olandese.
Secondo questo teologo la Riforma aveva riformato la dottrina della chiesa, ma la vita e la pratica del popolo di Dio ha sempre bisogno di un’ulteriore riforma. 
Noi tutti, quindi, dobbiamo rinnovarci e riformarci perché ogni giorno accadono fatti nuovi che cambiano la nostra vita e spesso non ci accorgiamo.
Leggendo i giornali locali di ieri, ad esempio, mi ha colpito il fatto che l'ultima nata del 2014 all'ospedale di Biella si chiama Noemi mentre le prime due nate del 2015 si chiamano Assil e Jasmine.
Come potete capire le prime due nate del 2015 hanno padri marocchini e mentre anche Assil (la prima nata del 2015) ha madre marocchina; Jasmine (il cui nome significa Gelsomino) ha madre italiana.
Qualcuno potrebbe trovare preoccupante questo fatto; io, invece, ritengo bene augurale che la prime due nate di Biella siano due femmine e siano il frutto di unioni di persone provenienti da terre lontane e ormai a noi vicine.
Conosco molte persone provenienti dal Marocco o dalla Tunisia e devo dire la verità che sono persone cordiali e squisite e spero veramente che sia l'occasione di incontro fra nazionalità diverse con in comune un cammino di pace.
Sempre parlando di Rinascita, un altro pensiero che mi sono annotato in questi giorni è il messaggio che ho trovato su Facebook di una mia amica virtuale, Pia Zirpolo, ammalata di fibromialgia, una malattia invalidante non riconosciuta tale in Italia. Dopo una intervista al Tg3 le ha telefontato lo stesso papa Francesco. Ecco il messaggio di Pia che desidero leggervi e condividere con voi.

Cari amici,
quando si avvicina la fine dell’anno è umano per tutti fare un bilancio su quello che si va a concludere e porsi dei buoni propositi per il nuovo che sta per arrivare. Il mio 2014 è stato un anno difficile, sfide difficili, che ho affrontato con grande grinta e determinazione. Con la voglia di trasmettere un messaggio positivo per gli altri senza considerare quanto questo viaggio avrebbe arricchito così tanto me.
In questo viaggio ho incontrato tantissima gente che mi ha regalato amicizia, affetto, sorrisi...  L’augurio che faccio a tutti per l’anno nuovo è di non mollare, di continuare a crederci, sognare e lavorare duramente per raggiungere qualsiasi obiettivo. Guardare al presente come un grande dono. Ricordarsi di ringraziare sempre e di dire “ti voglio bene”. Qualcuno un giorno disse che “l’amore è l’unica cosa al mondo che non si può comprare perché ti viene donato”. Ecco il perché dobbiamo ricordarci tutti di non dare mai nulla per scontato. Questo il mio augurio per voi, che il nuovo anno vi porti tanto amore, perché questo è il vero motore del mondo. Buon 2015 a tutti di vero cuore”.

Ritornando al brano dell'Evangelo di Luca giungo alla frase finale: “Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini”.
In quest'ultima frase Gesù diciamo che ritorna un po' bambino e “stava loro sottomesso”. Qui forse l'insegnamento è che, anche chi è consapevole di essere più preparato di un altro deve anche sapere essere umile e quindi, quando è necessario, anche sottomettersi.
A questo proposito  mi ha colpito la predicazione di Luca Zacchi nella chiesa valdese di Forano in provincia di Rieti: 

Luca ci dice anzitutto che non capirono. Ossia non riuscirono fino in fondo a capire il motivo del comportamento di quel figlio, solitamente probabilmente molto obbediente, come continuerà ad esserlo fino all’inizio pubblico del suo ministero (stava loro sottomesso).
E’ interessante anzitutto vedere cosa la loro reazione non è; non è una reazione irata; non dicono al figlio, tu sei piccolo e non capisci di che parli, devi solo obbedire e stare sottomesso. Non è una reazione superba, non lo azzittiscono con la loro sapienza di persone adulte.
E’ una reazione di persone che amano il loro figlio: Ecco, tuo padre e io ti cercavamo, stando in gran pena e che, per questo, solo per questo, perché lo amano, vogliono capire il suo comportamento.
Giuseppe e Maria sono genitori che amano il loro figlio Gesù; gli dicono che non si è comportato bene, non fanno mistero del loro essersi angosciati, impauriti per la sua scomparsa, e stanno a sentire le sue ragioni.
Facciamo un confronto con le nostre famiglie di oggi; anzitutto quanti parlano con i loro figli? Quanti sono capaci di un dialogo che non sia un urlare sterile, un imporre le proprie convinzioni? In un senso o nell’altro, badate bene. Oggi può capitare che siano i figli a voler imporre la propria sapienza, il proprio stile di vita ai genitori cresciuti secondo altri valori.
Quanti sono capaci di essere in accordo tra loro come appaiono dal Vangelo Maria e Giuseppe; tutti e due lo cercano, tutti e due sono angosciati, ma solo Maria parla, come spesso solo le madri parlano con i figli potremmo pensare noi, ma attenzione, parla ad una sola voce con il marito (tuo padre e io angosciati, stando in pena entrambi, ti cercavamo). 
Quanti infine sono in grado di dare peso alle parole dei propri figli anche piccoli? Di riconoscere che il Signore a volte parla anche attraverso le loro voci? 
Giuseppe e Maria lo sono. 
Ed il Vangelo che abbiamo letto prosegue con un versetto che ci dà la chiave di lettura complessiva del brano. 
Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva…
L’atteggiamento di Maria, come ce lo descrive Luca, è, dovrebbe essere, l’atteggiamento del cristiano, di ogni età, di qualunque tipo di umana sapienza sia portatore. Ascoltare la Parola, la Parola fatta carne, e serbarla nel cuore. Serbarla non è semplicemente metterla da una parte, riporla in un armadio come si fa con i regali che si sono ricevuti ma che non hanno trovato il nostro gradimento, o che non sappiamo come usare…
Serbarla è conservarla nel punto più profondo del proprio cuore e del proprio cervello, farne un tesoro da cui attingere come fa lo scriba nel Vangelo, cose antiche e cose nuove, per avere intelligenza del proprio passato e guardare con sapienza al proprio futuro.
Questo il passo di Luca Zacchi. 

Credo sia veramente così, care sorelle, cari fratelli: quando una parola ha ancora qualcosa da dirci significa che questa parola è ancora viva.  Domenica scorsa, ad esempio, mi è stato di incoraggiamento il sermone che il nostro pastore Marco Gisola ha fatto domenica  scorsa su Giacomo cap. 4  vv. 14-15 Che cos'è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce. 15 Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest'altro». 
Gisola ha infatti detto che l’affermazione “Se saremo in vita” può anche avere un significato positivo: può anche essere presa non come una minaccia, ma come un’opportunità: se noi, che siamo un vapore che dura un istante, siamo qui a vivere questo istante, non è grazie alla nostra forza, ma grazie a Dio che ci ha dato la vita, e non solo la vita, ma anche molti altri doni per vivere questa vita al suo servizio.
E quindi questo istante che abbiamo da vivere – che poi non è affatto un istante, ma per molti di noi sono molti decenni – il tempo che ci è dato, è un'opportunità, un'occasione, è il tempo della nostra vocazione. Ogni giorno che ci è dato, ogni settimana, ogni mese, sono tutte opportunità di rispondere alla vocazione che Dio ci rivolge.
Non è tanto la durata della nostra vita che è nelle mani di Dio, ma il senso della nostra vita che è nelle mani di Dio. Se saremo in vita - potremmo parafrasare dicendo: se saremo in grado e ne avremo la possibilità - faremo questo e quest’altro.
Sapendo che la vita e le possibilità che essa offre sono un dono di Dio, un opportunità che egli ci offre di rispondere alla sua chiamata. 

Concludo questa mia predicazione augurando a tutti voi e in particolare a tutti coloro che sono ricoverati in ospedale, come l'amico che porta il mio stesso nome Massimiliano, o che stanno soffrendo per malattia, solitudine, per la perdita di una persona cara, per problemi di non lavoro, di affrontare il 2015 come opportunità di rinascita.
Amen

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