giovedì 20 novembre 2014

Predicazione di domenica 16 novembre su 2 Corinzi 5,1-10 di Massimiliano Zegna

Corinto è una città della Grecia centro meridionale del Peloponneso la cui prima chiesa cristiana fu fondata da Paolo nel 51 dopo Cristo.
Tra la prima e seconda lettera di Paolo ai Corinzi vi sono stati dei fatti drammatici sia per quanto riguarda Paolo che probabilmente finì in carcere, mentre era in Asia, sia per quanto riguarda la chiesa di Corinto che, a causa di “falsi apostoli” come li considera lo stesso Paolo, ebbe discussioni molto accese.
La lettera, come la definiscono alcuni commentatori, è molto emotiva e presenta alcune disorganicità: e così il tono di Paolo passa dall'amaro e sarcastico a quello magnanimo e fiducioso.
C'è da aggiungere, infatti, che la situazione della chiesa di Corinto dopo che il discepolo Tito che, probabilmente era il latore della lettera, si era andata riappacificandosi con Paolo.
Le difficoltà derivavano comunque da quelle che erano le abitudini di una città greca e influenzata dal paganesimo a quelli che erano gli insegnamenti Gesù portati attraverso Paolo.
Paolo infatti usa la metafora del matrimonio per descrivere il suo stesso ruolo. Così come i profeti avevano spesso descritto Israele come sposa di Jahvè così Paolo descrive la chiesa di Corinto come la fidanzata di Cristo.
E egli si era autodefinito come... il padre della sposa. Vi sono quindi toni di rimprovero e toni di grande amore per dimostrare l'affetto che Paolo aveva nei confronti della chiesa da lui fondata.
Ma vorrei esaminare ora i versetti del quinto capitolo che per me rappresentano una grande rappresentazione dell'essenza del nostro Credo.
Ed in parte rispondo agli inquietanti interrogativi che anche in questi giorni ho letto nella mia corrispondenza quotidiana con amiche ed amici di Facebook, il socialnetwork, attraverso cui ricevo e trasmetto le mie emozioni e che comunque si ascoltano parecchio in occasioni come queste.
Nei giorni scorsi Biella e il Biellese sono stati sconvolti da due eventi particolarmente drammatici: il primo riguarda la improvvisa scomparsa delle giovane Elisa figlia diciottenne dell'ex sindaco di Biella Dino Gentile, la seconda della scomparsa a causa del maltempo di Brunello Rosa Canuto, 66 anni, di Crevacuore.
Nel primo caso i commenti erano: “ma se Dio esistesse non priverebbe la vita ad una giovane bella, affettuosa, positiva, sportiva, beneamata dai suoi compagni di scuola e della sua famiglia” E così concludeva questa persona: “Meglio essere atei che rimanere delusi da questo Dio”.
Anch'io mi sono recato al funerale che si è svolto nella chiesa di san Biagio a Biella e devo dire di essere rimasto colpito dall'affetto che questa ragazza aveva. La chiesa vecchia e quella nuova erano gremite di ragazzi e contemporaneamente anche la chiesa del Villaggio Lamarmora era piena di altri ragazzi del Liceo Scientifico, la scuola dove Gentile è preside. La sera prima, numerosi ragazzi avevano fatto una sfilata con le candele accese. Nelle parole che ho ascoltato non c'era però astio nei confronti di Dio ma i toni erano di amore e di affetto nei confronti di Elisa.
L'altro caso è quello dell'abitante di Crevacuore travolto da una frana mentre, appena uscito di casa: stava guardando appunto il terreno vicino a casa che si stava rapidamente avvicinando all'abitazione.
Devo dire che mi hanno dato conforto sia i toni ed i volti di questi ragazzi permeati di grande forza spirituale sia la lettura del capitolo della lettera ai Corinzi che denota una grande sensibilità di Paolo.
In effetti quanto scrive Paolo è di una tale sensibilità che qualche commentatore, ed io stesso, si è chiesto se Paolo non abbia veramente vissuto una esperienza post mortem così come può aver vissuto chi si è trovato in coma e poi si è risvegliato nuovamente alla vita.
Preferisco rileggere insieme a voi le parole di Paolo, che qualche commentatore ha definito di difficile interpretazione, ma che io ho voluto leggere nella sua semplicità senza voler andare a disquisire su quale doveva essere il significato autentico.
“Sappiamo, infatti, che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d'uomo, eterna, nei cieli”.
Questa frase, in cui si parla di tenda, mi ha fatto venire in mente il famoso brano dall'Evangelo di Matteo al capitolo 17 versetti 1-9: «Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse sopra un alto monte, in disparte. E fu trasfigurato davanti a loro; la sua faccia risplendette come il sole e i suoi vestiti divennero candidi come la luce. E apparvero loro Mosè ed Elia che stavano conversando con lui. E Pietro prese a dire a Gesù: “Signore, è bene che stiamo qui; se vuoi, farò qui tre tende; una per te, una per Mosè e una per Elia”. Mentre egli parlava ancora, una nuvola luminosa li coprì con la sua ombra, ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: “Questo è il mio figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo”.
I discepoli, udito ciò, caddero con la faccia a terra e furono presi da gran timore. Ma Gesù, avvicinatosi, li toccò e disse: «Alzatevi, non temete». Ed essi, alzati gli occhi, non videro nessuno, se non Gesù tutto solo.
 Poi, mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest'ordine: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il figlio dell'uomo sia risuscitato dai morti”». (Mt 17, 1-9)
Un altro brano del profeta Isaia (38,12) è ancora più vicino al brano di Paolo: "La mia abitazione è divelta e portata via lontano da me, come una tenda di pastore. Io ho arrotolata la mia vita, come fa il tessitore; egli mi taglia via dalla trama; dal giorno alla notte tu mi avrai finito".
Proseguo con la lettura della lettera di Paolo ai Corinzi: “Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinchè ciò che è mortale sia assorbito dalla vita. Or colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale, ci ha dato la caparra dello Spirito”
Nella Bibbia parlare di tenda significa parlare di quella che per noi è una casa in quanto per i popoli dediti alla pastorizia era naturale avere una tenda sotto cui ripararsi.
Ma Paolo qui vuole rimarcare quanto diversa è la tenda sotto cui ci ripariamo nella vita terrestre e quella che sarà quella celeste. La tenda terrestre può essere disfatta come può essere capitato a tutti quelli che hanno subito le alluvioni o comunque può essere disfatta per chi subisce la morte terrena e quindi è quanto è capitato alla giovane Elisa e comunque a tutti coloro che lasciano questa terra a causa della morte.
Paolo ci insegna però a non preoccuparci perché quello che ci aspetta è un'altra tenda ben più rilevante, che è la tenda celeste ossia la tenda in cui potremo vedere la luce di Dio.
La vita terrena è certamente una fase di passaggio ma Paolo ci annuncia che è anche una caparra dello Spirito ossia un anticipo di quello che sarà la vita celeste.
Forse è questo che alcuni commentatori giudicano di difficile comprensione ma per chi crede in Dio dovrebbe essere più chiaro anche se vi sono i dubbi per noi umani che misuriamo i nostri commenti secondo metri di misura umani.
E così pensiamo che una vita umana debba durare almeno cento anni per essere completa per cui la morte in tenera età viene considerata una ingiustizia. Però anche chi vive ad esempio fra i novanta e i cento anni con problemi di demenza senile è considerato ingiusto. E anche chi si ammala a cinquant'anni di una grave malattia è considerato ingiusto.
Tutto questo fa parte dei misteri di Dio che ci saranno rivelati proprio nel momento in cui passeremo dalla tenda terrestre a quella celeste. Paolo però qualcosa ci anticipa nella conoscenza di questi misteri e continuando a leggere la lettera ai Corinzi vi sono questi passi:
“Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore (perché camminiamo per fede e non per visione); ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore. Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo. Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinchè ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male”.
Che cosa ci vuol dire Paolo non solo ai Corinzi ma a tutti noi? Se crediamo in Dio noi lo facciamo per fede, per fiducia ma non per visione in quanto noi siamo nella tenda terrestre che non ci permette ancora di avere la visione di Dio. E quella terrena è una prova un anticipo per capire qual è la nostra vera fede.
Se agiamo secondo i Comandamenti di Dio, che ricordo si condensano soprattutto nell'amore di Dio e del prossimo, noi potremo avere una giusta retribuzione davanti al tribunale di Cristo.
Ovviamente non sarà di tipo monetario questa retribuzione in quanto (ed io aggiungo per fortuna) non ci sarà più il problema di avere un compenso materiale per il lavoro che si svolge ma il compenso spirituale.
Che cosa ho imparato dalla lettura di Paolo? Ho imparato innanzitutto ad avere più fede in Dio così come lo sono stati i ragazzi che hanno partecipato ai funerali di Elisa Gentile.
Certamente vi era molta tristezza e molto dolore ma vi era anche il conforto di sapere che Dio non l'ha abbandonata ma l'ha presa sulle sue braccia e portata in una tenda celeste dove non avrà più modo di temere né di aver paura ma di vivere nuovamente nella luce di Dio.
Ho imparato a fuggire (o almeno a tentare di fuggire) dalle mie ansie quotidiane per il lavoro, per la salute e ad avere più fiducia in Dio.
Certo non possiamo essere inerti e aspettare la morte senza far nulla, anzi occorre vivere questa vita nel migliore dei modi.
Mi ha sempre colpito la serenità con cui un'anziana ospite dell'Hospice di Gattinara (si chiamava Franchina di Borgosesia) ha affrontato gli ultimi giorni della sua vita. Ero andato a trovarla perché mi aveva fatto sapere che voleva parlare con me in quanto giornalista.
Quando finalmente l'ho incontrata mi ha detto che voleva che io facessi un bell'articolo, per dire che si trovava bene nell'hospice ed era ben assistita, che mangiava bene e che tutti si prendevano cura di lei. Ho esaudito le sue volontà e devo dire che quel giorno ero un po' ero preccupato in quanto non avrei saputo che cosa dirle in quanto consapevole che aveva pochi giorni di vita, ma è stata lei a tirarmi su il morale con la sua simpatia e il suo buonumore.
Avevo chiesto anche ad una oncologa come si poteva vivere sapendo che la fine terrena era vicina e lei con molta sensibilità mi aveva detto queste parole. Alle persone che vengono qui io dico sempre: noi vogliamo assicurare i nostri malati che la qualità della vita deve essere positiva fino all'ultimo momento anche perché noi stessi non sappiamo fino a quando vivremo.
Per me è stata come una boccata di ossigeno. Se poi si crede in Dio non si ha certo paura del tribunale di Cristo ma deve essere visto come l'incontro sereno per una nuova vita.
La conclusione a cui sono pervenuto è che occorre un equilibrio sul pensiero alla vita terrestre e quello sulla vita celeste. Gesù ci ha insegnato a pensare e a pregare con il “Padre nostro” sia per il pane quotidiano, quindi per vivere al meglio la vita di tutti i giorni, sia perché venga il regno di Dio e sia fatta la sua volontà. Amen

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