giovedì 20 agosto 2009

SINODO 2009: DUE NUOVI PASTORI



DUE NUOVI PASTORI

Nel corso del culto di apertura del Sinodo vengono consacrati (ordinati) i futuri pastori e pastore delle chiese metodiste e valdesi. I candidati, muniti di una laurea in teologia e dopo un periodo di prova effettuato in una chiesa sotto la guida di un pastore anziano, sono preventivamente esaminati dal corpo pastorale. L'esame prevede alcuni quesiti teologici e un sermone su un testo biblico. I candidati di quest'anno sono Stefano D'Amore e Alessandro Esposito, il cui esame avrà luogo sabato mattina nell'aula sinodale della casa valdese di Torre Pellice. Qualora l'esito della prova risulti positivo, saranno consacrati il giorno successivo nel corso del culto di apertura della sessione sinodale.






SINODO 2009

I candidati al ministero pastorale
si presentano:

STEFANO D'AMORE


Ho 31 anni, ho studiato alla Facoltà valdese di Roma e all’Isedet di Buenos Aires. Dal 1° luglio 2007 sono stato destinato alla chiesa valdese di Torino per svolgere il periodo di prova.
Ricordo ancora molto bene quando a otto anni mi diressi verso il pastore che curava la comunità di Pinerolo nella quale sono cresciuto, per domandargli perché nella Genesi ci fosse scritto che Dio aveva creato il mondo e l’essere umano, visto che a scuola mi insegnavano la teoria del big bang e il fatto che tutti noi discendiamo dalla scimmia. L’aver accolto da parte sua quel mio dubbio come una cosa seria e l’aver tentato di fornirmi una chiave interpretativa adatta alla mia età, mostrano bene la prima cosa che vorrei sottolineare. La Chiesa valdese rappresenta per me uno spazio privilegiato nel quale è stato possibile dubitare, e proprio per questo permettersi di avere il tempo per rendersi conto delle cose, provare a comprenderle e crederle. Uno spazio nel quale il primo messaggio che ricevi non è il confine entro cui ti è concesso muovere i passi, ma il fatto che sei amato da Dio.
L’accoglienza del dubbio all’interno del percorso di fede significa poi apertura al dialogo – che vuol dire accortezza e lentezza nel giudizio – ma significa anche scegliere di dubitare, di assumere e sviluppare un pensiero critico nei confronti di ciò che mi sta attorno. Credo profondamente che Dio desideri intervenire nella storia di soggetti pensanti piuttosto che di automi stanchi o incapaci di riflettere e credo che questo sia un aspetto da non dimenticare anche nell’ambito della formazione delle generazioni più giovani. Da Agape ai gruppi giovanili, dalla comunità locale alla Facoltà, ho incontrato e lavorato in luoghi che mi hanno chiesto di lasciarmi mettere in discussione: da Dio innanzitutto, dal testo biblico, dall’altra che incontro, dall’altro che non posso incontrare.

La Fgei ha avuto una parte fondamentale in questo mio percorso, per essere stato uno dei principali soggetti che hanno suscitato e accompagnato la mia vocazione. Grazie a essa e a realtà come quelle dei centri giovanili e della Cevaa, ho incontrato sorelle e fratelli che mi hanno testimoniato la passione per Dio e il servizio del prossimo, aiutandomi a dare forma all’immagine del ministero pastorale che sento più vicina. È molto forte in me, inoltre, la convinzione che una Chiesa per essere tale deve essere diaconia. Questa dimensione, intesa come segno visibile e concreto che anticipa e annuncia la venuta del Regno, non può mancare nella vita di una comunità che si confessa credente: è essenziale per poter essere chiese responsabili, aperte alla costruzione di relazioni e dinamiche alternative, pronte ad affermare la dignità dove solitamente si sostiene l’esclusione, capaci di difendere i diritti dei poveri e aiutare le più deboli a rialzarsi. Non posso dimenticare un versetto di Isaia che dice «Io, il Signore, sono il primo; io sarò con gli ultimi».

Sarei felice di poter proseguire il mio servizio in questa piccola Chiesa attraverso la predicazione dell’Evangelo, la cura pastorale e l’impegno nella vita comunitaria, vivendo il ruolo pastorale come un’opportunità: per annunciare l’Amore di Dio, per prendersi il tempo di incontrare le persone nelle fragilità come negli entusiasmi, per riconoscere e valorizzare i doni altrui. Perché essa possa confermarsi – come recita un atto sinodale dell’ultima sessione rioplatense – «una Chiesa in cui viene voglia di stare».
Prego Dio di non farmi mancare sostegno e speranza e di concedermi di svolgere il ministero pastorale al servizio di una Chiesa che, affondando le proprie radici nella sequela di Gesù, mi auguro continui ad accettare la sfida del cambiamento senza esserne impaurita.



SINODO 2009

I candidati al ministero pastorale
si presentano:

ALESSANDRO ESPOSITO



Vocazione è realtà che sfugge alle nude parole, mistero che si ritrae di fronte a ogni tentativo di confinarlo nell’angusto spazio della definizione e che soltanto si consegna all’apertura del racconto. Vocazione, difatti, è figlia del cammino: percorso costellato di dubbi e di ripensamenti, di incontri e di ridefinizioni. La mia fede, e con essa la mia decisione di abbracciare il ministero pastorale quale sentiero lungo il quale darle corpo, hanno scoperto motivazioni di volta in volta differenti, figlie di una relazione con Dio in costante trasformazione. Luogo di questa relazione sono state le esperienze dentro le quali Dio ha permesso che lo scorgessi: incontri con storie di donne e di uomini nelle cui maglie Dio rimane impigliato, lasciando come una traccia impercettibile eppure evidente del suo passaggio.
Così, attraverso la complessità e la contraddittorietà delle vicende umane, Dio si è fatto strada in me e mi è venuto incontro, rivelandosi come il Dio dal volto umano, il Dio che attraverso le donne e gli uomini ha inteso e intende restituirmi alla mia umanità. E questo, per me, è stato e continua a essere anche il senso di quelle Scritture nelle quali Dio ha lasciato impressa come un’orma, che poi si scava nel cuore di chi le ascolta: un invito costante a divenire, ogni giorno, più umano.

In tale tentativo sempre incompiuto, due sono stati i luoghi dell’esercizio e dell’apprendimento. Le comunità, anzitutto: quella valdese di Torino, in seno alla quale ho imparato a muovere i primi, timidi passi; quella cristiana di base di Pinerolo, che mi ha insegnato la difficile bellezza della libertà e il coraggio del dissenso; quella valdese di Felonica Po e quella battista di Ferrara, che mi hanno «svezzato» pastoralmente; quelle valdesi di Trapani e Marsala, che mi hanno donato la gioia e l’entusiasmo di un ministero «di frontiera». A tutte sono debitore di una tessera del variopinto mosaico della mia fede itinerante, del dono di un orizzonte più ampio e di uno sguardo più attento.

Ancor prima e ancor più, però, sono stati i poveri a costituire il luogo della mia umanizzazione e, quindi, di una più profonda comprensione dell’evangelo: essi, infatti, ne sono i destinatari, coloro alla cui realtà siamo chiamate e chiamati ad accostarci e dalla cui realtà soltanto possiamo essere interrogati, provocati, trasformati. I poveri costituiscono il luogo privilegiato dell’esperienza di fede come esperienza pienamente umana; ma rappresentano, anche, la possibilità della conversione personale e comunitaria a quel Dio che nelle Scritture ne prende le difese in maniera incondizionata e che ci chiama a fare la stessa cosa perché possiamo dirci davvero figlie e figli suoi. E dovrebbero anche essere, i poveri, luogo nevralgico e imprescindibile di una riflessione teologica che prenda le mosse da quella realtà che il messaggio evangelico ci chiama ad assumere per poterla poi trasformare. Senza questa coscienza e questa prassi, credo, il mio ministero e la mia stessa fede sarebbero vani.

Tratto da Riforma del 21 agosto 2009

si veda anche il sito: www.chiesavaldese.org



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