venerdì 5 giugno 2009

Come Ferrara scoprì gli anticorpi contro il fascismo

I fatti si svolgono nella Ferrara raccontata da Bassani: sì, proprio quella del «Giardino dei Finzi Contini». Una città che all’epoca della vicenda è profondamente fascista. Ma è anche città ebraica poiché qui visse una delle comunità più numerose della diaspora israelitica italiana. Sono tratti affascinanti quelli che fanno di Ferrara una città unica, che emerge così nel romanzo di Paolo Fabbri «Ave Maria per l’ebreo Vita Finzi».
di Giuseppe Platone

Tratto da Riforma


Paolo Fabbri ci tira dentro questo mondo dai tratti felliniani, con gli occhiali particolari di un protestante che racconta (anche) della locale presenza evangelica. C’è qui una piccola ma tosta comunità battista. C’è un pastore, c’è anche il rabbino chiuso forzatamente nel suo ghetto. Un cantus firmus attraversa tredici capitoli e narra di quella coerenza evangelica che esprime un particolare stile di vita. E poi ci sono le scelte del «dopo otto settembre». Da che parte stare: non c’era molto tempo per riflettere prima di decidere. Pagina dopo pagina emerge, progressivamente, una coscienza collettiva antifascista che per affermarsi ha bisogno di irrobustirsi attraverso scelte personali, perché solo così diventa solida e coraggiosa. C’è infatti in quella scelta la vita, ci si gioca tutto.
L’insieme è raccontato sulla base di fonti (le note in calce a tutta la narrativa rimandano a documenti e fatti reali) in uno stile sospeso tra il documentaristico e il romanzo. Fabbri rimane sino all’ultima pagina indeciso tra la narrazione fantastica e la storia e forse questa ambivalenza è il fascino del libro che, una volta superati i primi capitoli, finalmente ti afferra proprio perché mentre leggi realizzi che la narrativa è innervata da fatti veri. Il libro ha quindi anche un valore di documentazione dell’attività antifascista a Ferrara, aggiunge un tassello alle informazioni riguardanti le rischiose azioni di salvataggio nei confronti degli ebrei ferraresi decimati dalla furia omicida nazifascista.
Le storie s’intrecciano una dentro l’altra in un crescendo tra la vita e la morte. La vicenda di Vita Finzi è paradigma di altre vicende rischiose dove una catena di uomini e donne (che non chiameremo eroi per allergia verso la retorica) hanno rischiato in prima persona per salvare vite destinate all’annientamento. Questo libro, senza intenti autocelebrativi, racconta di coscienze indignate dal fascismo dopo averlo attraversato. È un no secco a pulsioni distruttive e razziste. Il coraggio dell’opposizione che ha tardato a maturare dentro una cittadina in cui tutti si conoscevano e in cui il fascismo aveva anche i tratti dell’Italia godereccia e vitellona, ma che alla fine diventa irremovibile. Non a caso a Ferrara il Cln è stato decimato più d’una volta, una minoranza ha riscattato anche le maggioranze silenziose e genuflesse.

In un momento storico come questo in cui le opposizioni sono invitate a stare in riga, ad allinearsi, ad abbassare i toni della loro indignazione, in cui ritorna prepotente e volgare la nostalgia per il capo che ci governi nel caos del mondo globale, può essere utile riflettere su ciò che il consenso obbligato ha prodotto in questo nostro paese. Un risultato che Fabbri racconta anche in dialetto senza sconti riguardo alle contraddizioni e le ambivalenze della nostra stessa italica cultura. Ci si rispecchia facilmente. Purché a un certo punto – come succede nelle storie vere delle pagine di Fabbri –, proprio quando la misura è colma, occorre scegliere con chi stare. La dignità per essere tale deve passare attraverso il dolore e il rischio di diventare veramente umani. E per un credente l’umanità che sa farsi carico dell’altro è il programma che Dio, in Cristo, propone ed è subito biografia.

L’ideale sarebbe leggere questo romanzo storico a Ferrara. In alternativa ho scelto l’alta val d’Angrogna in una bella (quanto rara) giornata di sole primaverile. Guardando ogni tanto, oltre le pagine, giù giù, verso la pianura, seduto su quel poggio da dove Jacopo Lombardini visse la sua stagione resistenziale sino al rastrellamento e poi la fine nel lager austriaco. Storie diverse, certo. Ma vere e accomunate dalla stessa tensione verso la libertà e la giustizia. Esse animano l’affresco della resistenza che gli evangelici italiani seppero esprimere nel buio della tirannia. Un affresco non ancora portato completamente alla luce. Oggi, a più di sessant’anni di distanza, possiamo scoprire nuovi, luminosi particolari.

* P. Fabbri, Ave Maria per l’ebreo Vita Finzi, la Resistenza a Ferrara 1944-1945. Milano, Greco & Greco editori, 2009, pp. 287, euro 12, 00.

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