venerdì 31 ottobre 2008

Per la SCUOLA

Legge Gelmini: le nostre preoccupazioni
di Maria Bonafede

Non sono un’insegnante e mio figlio è ormai all’università, tuttavia i recenti provvedimenti in materia scolastica fortemente voluti dal ministro Gelmini ed approvati dal Senato mi destano più di una preoccupazione. A poche ore dal voto parlamentare leggo delle dichiarazioni di piena soddisfazione del ministro della pubblica istruzione secondo cui finalmente "si torna alla scuola della serietà". Vedremo. Quello che abbiamo già visto è che, comunque si valutino i diversi aspetti del provvedimento, alla scuola verranno attribuite meno risorse: in tre anni 8,7 miliardi in meno (dati ufficiali ricavati dal Piano programmatico relativo al decreto n. 133) con un taglio drastico a partire già dal prossimo, quando si prevede un abbattimento delle risorse di oltre quattro miliardi di euro.
Per una minoranza come quella valdese, la scuola pubblica è stata un luogo privilegiato di integrazione e di valorizzazione di alcuni contenuti di laicità propri della Costituzione repubblicana. Non era scontato. Nell’Ottocento ed ancora nel primo Novecento, così come altre minoranze che avevano sofferto a causa di persecuzioni e discriminazioni, soprattutto nelle "loro" Valli del Piemonte anche i valdesi disponevano di una rete di scuole private e confessionali.

Ma nel secondo dopoguerra la scelta netta e strategica fu quella di assumere la centralità della scuola pubblica: alcuni istituti valdesi rimangono a tutt’oggi in quanto rispondono a specifiche esigenze di una comunità locale. Li gestiamo e li finanziamo nella convinzione che possano svolgere un ruolo utile e talvolta prezioso sul piano dell’innovazione didattica e dell’apertura a specifiche esigenze del territorio – quello delle Valli valdesi come quello della periferia palermitana o dell’entroterra nisseno – ma sentendo al tempo stesso la scuola pubblica come luogo privilegiato di ogni integrazione culturale, sociale e religiosa: una "ricchezza di tutti" e quindi anche nostra.

Come protestante conosco bene le ipoteche confessionali che condizionano la scuola italiana e che ne minano il carattere laico e pluralista: da sempre critici nei confronti di un insegnamento religioso confessionale cattolico, abbiamo anche respinto l’idea di aggiungervi altri ed omologhi percorsi confessionali. Un’ora di religione valdese o induista accanto a un’ora di religione cattolica non fa la scuola più pluralista. Semmai la fa più confessionale e frammentata. Discorso molto diverso sarebbe un insegnamento aconfessionale di storia delle religione, concepito in chiave scientifica e comparativa. Ma questa ipotesi, per quanto suggestiva, ad oggi sembra incontrare drastiche opposizioni da parte di chi gestisce la collocazione lavorativa di circa trentamila docenti.

Oggi, però, il problema è un altro. E’ che "meno scuola pubblica" significa anche meno spazi comuni nei quali crescere, incontrarsi e imparare a convivere. Significa meno spazi di laicità nei quali maturare nel confronto e nel dialogo con l’altro da noi. Significa anche meno cultura civile, quel legame di valori condivisi che costituisce un fondamentale elemento di coesione per ogni società. Per alcuni piccoli paesi delle Valli valdesi – salvo un benemerito intervento economico da parte della Regione Piemonte, per altro già annunciato – potrebbe significare la chiusura di scuole di montagna che costituivano un prezioso presidio di cultura e di aggregazione sociale.
Con meno risorse, con una maestra unica piuttosto che con un team di persone diverse ciascuna delle quali sia in grado di offrire il meglio di sé ai suoi studenti, non è più povera solo la scuola. E’ più povera anche la società.

30 ottobre 2008

tratto dal sito: www.chiesavaldese.org

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