sabato 20 settembre 2008

Gli Animali soggetto biblico




Paolo De Benedetti, Teologia degli Animali, a cura di Gabriella Caramore, 
(collana Uomini e Profeti 20), Morcelliana, Brescia, 2007, pp. 96; www.morcelliana.com

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Predicazione tenuta Domenica 17 agosto 2008 ad IMPERIA 
alla Chiesa Evangelica Valdese,
ringraziamo Mauro Polo e tutta la 
Chiesa Evangelica Valdese di Imperia 
per la gentile concessione della pubblicazione del Sermone.



Domenica 17 agosto 08 di Mauro Polo

…attendevo che qualcuno, per me, sviluppasse nuove
teorie dell’amore aperte anche ad animali e piante...

Estate, ferragosto, tempo di calura, sudore e zanzare
Vedo Gemima, anche lei a suo modo zanzara dello spirito. Per fortuna le sue punzecchiature non provocano
quei fastidiosi bubboni che mi perseguitano in periodo estivo di notte e di giorno.
Circa un mese fa mi ha letto al telefono il seguente brano, tratto da 2 Samuele 12,3 e stampato sulla
quarta di copertina del libro di Paolo De Benedetti “Teologia degli animali” della Collana “Uomini e Profeti”:
ma il povero non aveva nulla, se non una pecorella piccina che egli aveva comperato e allevato; essa
gli era cresciuta in casa assieme con i figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e
dormendo sul suo seno; era per lui come una figlia

Ho trovato il libro con un po’ di difficoltà e, per attenuare finalmente il prurito, l’ho letto in una sera,
tutto d’un fiato.
Chi mi ascolta, trovandomi spesso anche ripetitivo, sa che da anni parlo di una arretratezza in campo
teologico dovuta ad una non perfetta collocazione della vita animale e vegetale soffocate da un
antropomorfismo culturale che ha posto l’uomo ad unico soggetto della creazione.
Evidentemente ancora non ben guarito da quelle paralisi alla schiena ed alla mano di cui parlavo in un mio
precedente sermone, attendevo che qualcuno, per me, sviluppasse nuove teorie dell’amore aperte anche ad
animali e piante. Avevo dimenticato che Gesù alberga nei nostri cuori, non nei templi di pietra, e che la
salvezza non dipende da ciò che facciamo, da nessun catechismo, da nessuna azione ma solo
dall’accettazione della sua Parola.
Il libro di De Benedetti, ha messo ordine ad idee prima da me solo abbozzate ricordandomi, ancora una
volta, che solo chi ha il coraggio di alzare lo sguardo e di stendere la mano con umiltà, ma soprattutto con
libertà di pensiero, otterrà quanto desidera.
Solo chi ha un senso forte della precarietà del giudizio umano e della imperscrutabilità del disegno divino
può elaborare una teologia che metta continuamente in discussione se stessa: fino a spostare il centro
della propria attenzione dalla creatura umana, che lo ha da sempre altezzosamente occupato, alle creature
“minori” da sempre emarginate.
Questa forma di “relativismo”, particolarmente avversata in campo cattolico, appare invece come unica
strada percorribile per opporsi alla follia suicida con cui l’uomo agisce verso i propri simili e gli animali.
Eppure basterebbe leggere il cap. 9 della Genesi, subito dopo la narrazione del diluvio universale che
riporta queste parole da Dio stesso pronunciate:

«Quanto a me, ecco, stabilisco il mio patto con voi, con i vostri discendenti dopo di voi e con tutti gli esseri
viventi che sono con voi: uccelli, bestiame e tutti gli animali della terra con voi; da tutti quelli che sono
usciti dall’arca, a tutti gli animali della terra Io stabilisco il mio patto con voi; nessun essere vivente sarà
più sterminato dalle acque del diluvio e non ci sarà più diluvio per distruggere la terra» (Gen 9,9-11).
Gli animali quindi, secondo il diritto teologico, sono partecipi di questa alleanza con Dio ed entrano dunque
a far parte di una teologia che non può essere completa senza di loro.
Non può essere completa nel senso che non si dà completezza al discorso sugli animali se non si parla anche
di Dio e, allo stesso modo, non si può parlare della creatura umana in modo completo se non si parla anche
degli animali.
Chi sono dunque gli animali per noi e chi siamo noi per loro?
Porre una questione etica nei confronti degli animali dipende solo da una nostra sensibilità (quindi ancora
una volta originata da visione antropocentrica positiva del mondo che pone l’uomo come unico referente del
discorso morale) oppure è l’esistenza stessa dell’animale che ci obbliga a interrogarci in questo senso, a
riconoscere che l’animale è portatore di un valore proprio intrinseco che ci chiede di essere riconosciuto ?
Occorre trasformare la “centralità” dell’essere umano in “responsabilità” verso il creato, responsabilità
senza obbligo di “reciprocità”, così come già dovremmo comportarci nei confronti dei deboli, degli
ammalati, dei bambini, dei neonati, dei non autosufficienti.
Una riflessione di un Maestro Chassidico ci ricorda che il testo biblico, quando Dio creò assieme a tutto il
resto anche gli animali, riporta ogni volta «e vide che era cosa buona», ma quando crea l’uomo, non dice
nulla, ovvero non dice «che era cosa buona».
Ci troviamo di fronte a una sorta di "sospensione" del giudizio che neanche successivamente verrà
modificata, se non riferito a tutta la creazione nel suo insieme.
C’è, addirittura, chi predica la necessità di un comportamento buono verso gli animali al solo scopo di
educare ad un comportamento buono verso il prossimo, trasformando gli animali in "test" per verificare la
misura di crudeltà o di generosità tra uomo e uomo.
Ma chi è il nostro prossimo ?
E, soprattutto, è possibile estendere la concezione di "prossimo" agli animali?
In realtà il nostro "prossimo" è sempre più nostro prossimo quanto più, attraverso il dialogo, aumentano
due elementi: la sensibilità, nei suoi vari gradi fino alla consapevolezza dell’identità dell’altro, e la sua
dipendenza dalle nostre azioni nei suoi confronti, nel bene e nel male.
Ebbene, ognuno di noi ha sperimentato che la nostra responsabilità etica nei confronti degli animali cresce
in rapporto all'identità dialogica possibile: più ci è data la possibilità di contatto con un animale che ha
identità dialogica maggiore, più aumenta la nostra responsabilità nei suoi confronti, responsabilità che
invece avvertiamo meno impellente quando ci troviamo di fronte a un animale nel quale la specie prevale
rispetto all'individuo.
L’animale possiede facoltà intellettuali e coscienza che non mostrano una radicale differenza qualitativa
fra la vita animale e la vita umana, anche se c'è, naturalmente, una scala graduata tra gli esseri viventi,
come ce n'è pure una tra gli uomini, che ci accompagneranno anche nell’altra vita.
L'animale che io guardo e che mi guarda, l'animale con cui parlo e che a modo suo mi parla con gli occhi e
con la coda, è nella maniera più completa parte del mio prossimo.
Basti pensare all’uso terapeutico dell’amicizia con animali e a quante volte la nostra identità è stata
rafforzata, sostenuta, dilatata dal rapporto con un animale.
« Ama il tuo prossimo perché è tè stesso». Lutero sosteneva che “ Dio è presente nello spirito dell’uomo
quanto nelle viscere di un topo” a sottolineare che se Dio non esistesse nelle viscere del topo, il topo
stesso non esisterebbe, perché Dio è la sua vita.
Più si ha coscienza del nostro prossimo, più si fa forte l'esigenza di un'etica reciproca e di una “Giustizia”
di rapporti che tenda ad eliminare ogni contrasto e sofferenza.

Quale Giustizia pratichiamo verso gli animali non dico per eliminare, ma almeno ridurre, l’enorme problema
della sofferenza loro causata da allevamenti intensivi ridotti a massa di dolore e deprivazione?
Perchè la nostra catena alimentare si è spinta al punto da lasciarci solo la scelta tra essere vegetariani o
torturatori ?
Perché non abbiamo ancora sviluppato, anche solo nei termini stessi di una giustizia umana tra le specie,
una coscienza che sia in grado di garantire agli animali quel minimo di benessere come il beneficio della
luce, dell’erba, dello spazio e della vicinanza della madre.
Il pensiero cristiano ha, in generale, troppo a lungo taciuto sulle “sofferenze” causate agli animali, salvo
rare opposizioni all’indifferenza come quella di Francesco d’Assisi, per il quale gli animali erano fratelli e
sorelle.
L’alleanza con Dio stabilita dopo il diluvio universale (Genesi 9,10) non si limita alla sola famiglia di Noè ed
ai soli animali contenuti nell’Arca, ma è stabilita “ con ogni vivente che è con voi, uccelli e bestie selvatiche,
con tutti gli animali che sono usciti dall’arca”.
Occorre ritornare al concetto già espresso di allargamento del concetto di prossimo ad ogni forma
vivente, animali e piante, occorre ristabilire un comportamento responsabile dell’uomo nei confronti del
“giardino” a noi affidato in custodia, perché sia coltivato, cioè accresciuto in vita.
Occorre avere coscienza di quanto noi riceviamo dagli animali, dell’insopportabile tristezza che avrebbe un
mondo senza animali e piante.
Il problema della sofferenza nell’animale nel mondo post-edenico, intendendo come punto di partenza il
mito del paradiso terrestre, ha questa grave inesplicabilità: le disgrazie, i mali e tutte le sventure,
compresa la morte, che vengono all’uomo sono presentate come conseguenza di un peccato, mentre i mali
che travolgono gli animali, non sono riconducibili a un peccato da essi commesso.
Gli animali non peccano: sono innocenti e lo stesso episodio del diluvio dimostra come il regno animale sia in
rapporto con l’uomo sia in quanto essere vivente, sia perché travolto, inconsapevolmente e senza loro colpa
alcuna, dal peccato dell'uomo.
Questo è in qualche modo un debito verso coloro che ci hanno preceduti nella creazione e che spesso sono
memoria viva dell'innocenza, della grazia e della fedeltà che l’uomo ha perduto.
Per questo l’uomo che travolge nella rovina gli animali e le piante, ha il dovere operare per la salvezza
anche degli animali e delle piante e parlando di salvezza, non possiamo che interrogarci su cosa esista
anche per loro dopo la morte.
L'idea della possibilità di un'altra vita per tutti gli esseri viventi non costituisce elemento di novità; in
epoca recente è stata fatta propria da molti uomini religiosi: anche papa Paolo VI si narra abbia detto a un
bimbo in lacrime per la morte del cagnolino a lui caro: « Non piangere, perché nuovamente l'avrai».
Si è ben oltre il mistero d’immortalità generica o, nel solco del dualismo anima-corpo di tradizione
platonica e matrice greca, di immortalità dell'anima, tradizione quest’ultima poco radicata nella Bibbia e
quindi alla tradizione ebraico-cristiana.
Personalmente non so in quale forma avverrà il ritorno in vita da parte di chi è morto, ma credo
fermamente che la “vita” sarà restituita a tutti gli essere viventi, perché condividono la condizione di
essere ed avere tutti una vita donata da Dio, perché nessun uomo, animale o vegetale è fonte della propria
vita, perché la parola stessa, vita, striderebbe terribilmente perdendo molto del suo valore se noi non
affermassimo che la vita stessa può solo vivere o rivivere.
In Isaia Cap. 11, 6-8 troviamo più di un passo in cui la salvezza si estende dagli uomini agli animali “Il lupo
abiterà con l’agnello, ed il leopardo si sdraierà accanto al capretto, il vitello, il leoncello ed il bestiame
ingrassato staranno assieme e un bambino li condurrà” (non li dominerà).
Tutto anela quindi a quell’era messianica in cui la redenzione sarà concessa all’intero creato.
Giovanni Calvino diceva “ Non vi alcun elemento né alcuna particella del mondo che, consapevole della sua
presente miseria, non speri nella risurrezione”; estrema sintesi, questa, di una teologia estesa a tutte le
presenze viventi e non viventi del Creato.

(fonte: LA ROTTA,
CIRCOLARE DELLA CHIESA EVANGELICA VALDESE DI IMPERIA
Pastore: Gianmaria Grimaldi:Tel. 019806467-0183880120 gianmariagrimaldi@libero.it
Il culto evangelico è celebrato la domenica alle ore 11.00
in Via Carducci 30 - 18100 Imperia tel. 0183652834).

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