lunedì 16 giugno 2008

La donna sulle Alpi

Articolo di Tavo Burat per il Numero 10 - primavera 2008 -
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Nunatak c/o Biblioteca Popolare Rebeldies
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LA DONNA SULLE ALPI
Tavo Burat

Mi sembra importante esaminare il contesto in cui si inserisce la donna sulle Alpi. Si può parlare di società alpina fino a 40-50 anni fa, prima che questa fosse sconvolta dalla totale colonizzazione metropolitana, disarticolata nella sua economia ed espropriata di quella che era la sua cultura originaria e anche della possibilità, della capacità di interagire con le culture esteme.
Questa compagine sociale era composta da popolazioni per lo più indipendenti dai poteri signorili ed organizzate in forme arcaiche di collettivismo primitivo: era praticamente una società tribale, si contrapponeva a quella del diritto romano, sistema giurisdizionale che si basava sul diritto della proprietà, sul senso del padrone e della gerarchia. La società alpina era egualitaria, strutturata in senso orizzontale, non certamente verticale: una comunità di contadini, pastori, artigiani, tessitori, guaritori, con regole molto diverse da quelle imposte nelle città. Il concetto stesso di padrone e padrona nasce soltanto con l'arrivo dei romani, re e regine compaiono con i longobardi, e dopo il mille arrivano anche il Diavolo e il Padreterno. Prima c'era una civiltà agnostica, completamente diversa, anche da un punto di vista religioso, da quella, gerarchizzata, che si forma in seguito alla conquista cattolica e feudale. Nei piccoli paesi di montagna i rapporti sociali erano molto intensi per lo stretta pratica di una vita comunitaria nella quale lo sfera del privato era assai limitata. Uno per tutti, tutti per uno: lo pratica della proprietà collettiva portò intere comunità a simpatizzare, a sostenere le eresie che predicavano lo comunanza dei beni. Questi movimenti ereticali venivano a proporre una giustificazione dottrinale alla pratica del possesso collettivo. Fornivano le basi ideologiche a quanto veniva praticato già da tempo immemorabile, e che ora era messo in dubbio dal potere temporale in espansione del Vescovo e del Comune. Coesistevano due elementi contraddittori. Da una parte una resistenza al cristianesimo inteso come religione gerarchizzata nella gestione del potere. Nelle vallate alpine, l'evangelizzazione non era compiuta nel XVI- XVII secolo e c'erano ancora delle grosse resistenze culturali nei confronti della conquista religiosa. Non per niente i santuari, non per niente lo fortissima azione a tappeto portata avanti dai parroci per obbligare i ragazzi a frequentare una scuola strumentalizzata e finalizzata unicamente al catechismo. Però, se da una parte possiamo trovare questa opposizione alla conquista religiosa, dall’altra nasceva una grande sensibilità nei confronti del messaggio evangelico puro, privato di ogni sovrastruttura, portatore di una liberazione da ogni tipo di padrone e foriero dell' affermazione di una società di fratelli, di liberi e di eguali. Idee come queste incontravano lo stessa preparazione culturale, lo stessa situazione sociale della gente di montagna che si era strutturata e organizzata in questo modo già da millenni. Per questo motivo i movimenti ereticali hanno trovato sempre notevole ospitalità e comprensione sulle Alpi. Pensiamo alle Alpi occidentali francesi, alle infiltrazioni catare nella Lombardia, in particolare in Val Camonica, ai valdesi delle Alpi occidentali e ai loro omologhi che erano i cosiddetti poveri lombardi, agli apostolici e ai dulciniani, e poi, passando al periodo della Riforma, quindi al XVI secolo, pensiamo agli anabattisti, Gaismayr e alla rivolta dei contadini tirolesi e trentini, e al suo omologo, ma rigorosamente pacifista, Jacopo Hutter della Val Pusteria. Nel secolo XVII in Val Camonica esistevano i cosiddetti "pelagini" che erano dei prequietisti, ufficialmente cattolici, in realtà radicalmente diversi: il fatto stesso di poter pregare fuori dalle chiese era un vecchio insegnamento ereticale che deriva dalle Alpi francesi del XII secolo. Infatti il poter parlare a Dio fuori dagli edifici sacri, in silenzio, nella quiete, era una contestazione palese nei confronti di tutta l'organizzazione clericale. In questa società alpina, già "eretica" rispetto alla cultura e alla religione dominante, la donna, pur non partecipando al potere, non è stata mai considerata inferiore all'uomo perché produceva e lavorava, e aveva diritto alla spartizione dei prodotti. Per esempio, in una delle alte valli biellesi, la valle del Cervo, quelle che noi chiamiamo le sionere, cioè le fienatrici, che tagliavano il fieno selvatico, il “sion” (le ultime sono morte una decina di anni fa), vivevano parassite, possiamo dire, di due vacche. Tutta la loro vita ruotava intorno a due sole mucche, nutrendosi quasi esclusivamente di siero e di ricotta, perché col latte intero si facevano i latticini che venivano venduti e quindi erano solo gli scarti della lavorazione del formaggio che si potevano consumare. Qualche volta c'era un po' di carne, quando si ammazzava una bestia perché o si era ammalata, o era ammalato qualcuno In casa. Queste donne vivevano quasi da sole in quanto gli uomini, per le tragedie delle guerre che hanno infestato il Piemonte (dal 1600 in poi, una guerra ogni vent' anni in media), dovevano partire appena diventavano maturi per fare il soldato, e spesso a vent'anni venivano falciati. La valle del Cervo è la valle di Pietro Micca, alla cui vedova venne assegnata per pensione, combinazione, una micca, cioè una pagnotta, al giorno, dopo che perse il marito nell'assedio di Torino del 1706. A differenza delle altre valli biellesi, in cui esisteva un'attività mineraria, e gli uomini diventavano tagliapietre, selciatori e costruttori, nella valle del Cervo non c'erano cave di pietra, e i maschi potevano restare per anni interi all'estero, fuori valle, "per quelle france", come dicevano loro. Francia era la Savoia, la Svizzera, la Vallonia nel Belgio: dovunque esistessero paesi di lingua francese, era una Francia .. , e mentre gli uomini erano assenti per lunghi periodi, le donne avevano la responsabilità della famiglia, e una delle poche risorse era quella di tagliare il fieno selvatico, poi, soprattutto, di fare le portatrici. Portatrici prima per le costruzioni edilizie, poi per i turisti quando cominciarono ad arrivare. Tra l'altro organizzarono anche uno dei primi scioperi: mentre i tessitori scioperavano, le donne della montagna organizzarono la loro protesta perché erano pagate troppo poco. E si racconta ancora di queste donne che lavoravano con i muratori, e che avevano una forza straordinaria. Si ricorda un episodio abbastanza emblematico, avvenuto circa quaranta, cinquant'anni fa: una donna stava lavorando con un muratore, e stava costruendo il tetto a lastroni di pietra, come si usava nella sua valle. Gli uomini, invece, in cima al tetto orinavano e facevano a gara a chi orinasse più lontano, e intanto arrivavano le ragazze che portavano le pietre. A questo spettacolo, parlando puntualmente in piemontese, questa donna disse: "Ma non vi vergognate, sporcaccioni! Vedete che arrivano le ragazze, voi siete tutti lì che pisciate! Tutti quanti in fila!" e quelli si sono voltati e l'hanno presa in giro: " ... è soltanto invidia, perché tu non sei capace di fare come noi!" Ah si, allora lei prese un coppo, lo mise in mezzo alle gambe e con il coppo riuscì a sprizzare più lontano di tutti i colleghi messi in fila, ed in quel momento arrivarono le ragazze portando le lastre, e tutte quante le batterono le mani: aveva vinto anche in una gara come quella, tipicamente maschile. Ma c'erano altre donne importanti sulle Alpi che viaggiavano fino in Piemonte, fino nell'Appennino parmense: erano le sedonere di Claut, in Friuli. Portavano i cucchiaioni di legno, e a due a due, vestite di nero, con delle pantofole ai piedi dalla suola di stoffa di corda, scendevano dalla Valcellina, una valle con degli orridi tali che si diceva che Dante si fosse ispirato proprio ad essa per ricordare l'entrata nell'Inferno. E, come le sionere della valle del Cervo, dall'altra parte dell'arco alpino, le sedonere sovente cadevano nei burroni perché, sia per tagliare il fieno selvatico nei dirupi, sia per viaggiare cariche con le gerle, piene di cucchiaioni di legno, capitava loro di scivolare. Pensiamo alle tessitrici del biellese, donne veramente eccezionali, che tessevano per conto loro in scantinati appositi chiamati scrigna, con un caldo umido che non faceva certo bene alla salute, ma era necessario per mantenere quell' umidità che serviva per la tessitura. Tessevano dopo aver svolto le faccende di casa, dopo aver fatto anche i lavori di una povera agricoltura di sussistenza: la capra, la fienagione, ecc., lavoravano ore ed ore in questi antri tessendo le tele di canapa, ancora fino ad una quindicina di anni fa. Nel 1898, durante uno di quei carnevali "impegnati" in cui la comunità ritrovava la propria cultura e lanciava una sfida alla cultura dominante, le tessitrici si ribellarono perché era stata imposta una tassa su ogni metro di stoffa. Questo veniva a gravare ancora di più sulla miserrima rendita che avevano e loro, esasperate, insorsero. I carabinieri si spaventarono, spararono loro addosso e ci fu un eccidio, cui seguì a Torino un processo a quaranta donne, che poi furono fortunatamente tutte quante assolte. In pratica, attraverso queste testimonianze, possiamo rintracciare un conflitto con l'assetto maschilista, il crisma militare e teocratico del potere costituito. Per il potere odierno la natura è grezza e passiva, e così la terra che attende che l'uomo la renda positiva, contenitore che non crea ma procrea, quindi è ripetizione infinita. Niente a che vedere con quella che viene chiamata la civiltà danubiana, che si estendeva dai Carpazi fino all'Europa centrale, poi scendeva lungo l'arco alpino, e poi ancora per l'itinerario dell'Appennino sino alle Marche. Di queste civiltà danubiane sono state rinvenute in Baviera case lunghissime, con stanze comuni centrali, che dimostravano l'assenza della divisione in classi. Tutte ricerche che Hitler boicottò perché non poteva accettare che fosse esistita una civiltà senza capi, priva di gerarchia, che non possedeva armi. Evidentemente, all'interno di civiltà come quella cosiddetta libica, quella celtica ed etrusca non esisteva uno Stato, e per questo furono cancellate dalla storia. La storia, invece, si è attardata su un modello vincente, che ha tramandato uno Stato con istituzioni militari e religiose, un potere gerarchizzato, difeso dalla violenza, da leggi che proteggono l'oligarchia, che sottomette una maggioranza di persone espropriate di tutto. Un sistema sociale retto da una classe dominante che tende alla staticità, quindi modello dello Stato schiavistico più famoso, quello greco, poi romano, poi feudale, poi monarchico, poi coloniale. Al contrario, in quello che era un tipo di società diversa, nella cultura mistica e popolare, la donna è rimasta depositaria del sapere ex lege. Le streghe, le sibille, terapeute del corpo e dello spirito, custodivano un sapere trasmesso per via orale, frutto di civiltà agrarie profondamente legate alla terra e all’ambiente, espressioni di organizzazioni sociali in cui le donne, nonostante la loro collocazione marginale, subalterna nei confronti dei poteri, costituivano l'anello forte. La donna, nell'emarginazione femminile contadina, era collocata entro i territori della povertà e di quello che veniva definito idiotismo: tutto ciò che non era scientifico era idiota. Gli eretici erano considerati degli idioti, quindi la donna diventava, come tipica depositaria di questa cultura altra, prototipo dell'idiotismo. Ecco il motivo della partecipazione della donna alle eresie: le eresie davano la liberazione anche rispetto alla vecchia cultura pagana, dove era comunque sempre l'uomo a fare il sacerdote. Invece nella cultura evangelica lo donna diventa protagonista: la donna che predica, derisa dalla religione del potere che schernisce gli eretici perché osano far parlare le donne, osano farle predicare. Pensiamo alla Margherita di Dolcino, o alla moglie di Jacopo Hutter, che fu catturato nel 1536, buttato in cisterne di ghiaccio e poi nell'acqua bollente, frustato e alla fine arso. La moglie, incinta, venne catturata e portata nel carcere di Innsbruck da cui riuscì rocambolescamente a fuggire per essere riacciuffata due anni dopo, nel 1538, ed infine giustiziata nel castello di Schoneck, in Val Pusteria. Il termine stesso di strega è un "nome errante", che attraversa sessi, ceti, razze, classi, eventi; dall'Europa si imbarca per il nuovo mondo, per cui ad un certo punto i nativi diventano pellirossa, son tutti quanti stregoni perché ogni attinenza allo sciamanesimo è evidentemente stregoneria. Le Alpi poi sono socialmente costituite da artigiani del bosco, da carbonai, pastori, soggetti "streghizzabili" per il difficile controllo sociale: chi è nomade sfugge all'occhio vigile della legge, parla un proprio linguaggio, un proprio gergo, quello dei carbonai, degli spazzacamino, dei pastori: tutta gente che puzzava di stregonerie e di eresie. Ma la donna, emblematicamente, rimane il prototipo della strega: non per niente, appunto, streghe ed eretici vengono parificati. Nel 1257, Alessandro VI estende l'inquisizione, che era nata 25 anni prima contro i Catari, alle streghe ed ai maghi. Giovanni XXII omologa le streghe agli eretici, e ne permette la tortura e la pena di morte. In un secolo, diciamo, di preparazione, fra il 1430 ed il 1520, cominciano le grandi cacce alle streghe e la pubblicazione di eminenti trattati di demonologia, come il "Malleus maleficarum", il martello delle streghe. Con l'accordo tra potere religioso e potere civile, iniziano le cacce nel comasco, in Valtellina, in Val Camonica: guerra totale al magico, guerra alla medicina naturale per affermare lo statuto di una nuova medicina basata sulla razionalità moderna, espressione di una scienza della ragione borghese, fraintendimento e liquidazione delle culture agrarie come sapere interpretativo del mondo. La strega rappresenta, in fondo,la resistenza della cultura animistica tipica della società agraria repressa e perseguitata, contrapposta alla cultura scientifica moderna della società borghese. Le donne, le cosiddette streghe, ma anche le donne in genere, tutto ciò che resiste ancora della vecchia civiltà sciamanica delle Alpi, comunicano con la Natura, parlano con le piante, praticano il concetto oggi definito bio-religione. Nell'universo della strega, le piante parlano, le piante comunicano con lo sciamana, e le insegnano le medicine e l'amore, mettendolo in rapporto continuo con tutto quello che c'è intorno. Pensiamo ai poeti attuali della bio-religione, che hanno scoperto questa "nuova" forma di ritualità osservando gli indiani d'america o gli aborigeni d'Australia: a noi basta guardare all'antica società alpina per ritrovare questo senso cosmologico, questa comunicazione totale nei confronti di ciò che ci circonda. Tra il 1550 e il 1650, si scatena la persecuzione più cruenta, lo lotta alle streghe diventa guerra totale, una vera e propria repressione nei confronti della cultura contadina. Da un a parte c'è il sapere pre-medico, che fonda la sua credibilità sull’oralità e la memoria; dall'altra, invece, la scienza che sta nascendo, basata sugli scritti dei ceti dominanti del passato, e che da questi vengono trasmessi ai ceti dominanti del presente. Da una parte il principio di autorità, l'ipse dixit, il libro che non ammette dubbi; dall'altra i principi naturali, la tradizione, la paternità anonima. Anche in campo religioso si fronteggiano due concezioni diverse: da una parte quella dei morti che abitano coi vivi, perché sono continuamente presenti nella vita di ogni giorno, dall'altra quella delle anime confinate nell'altro mondo, l'Inferno, il Purgatorio, e così via. Ricordiamo anche l'alta professione della levatrice, che ha veicolato i riti agrari della nascita, aborriti e combattuti dalla Chiesa perché espressioni di cultura orale ancora impregnata di paganesimo. Perseguitata, perché occorreva la presenza di un prete affinché si battezzasse subito il bambino, l'ostetrica era, in pratica, al centro dell' antinomia vita-morte. La donna era custode della vita perché era lei che dava da mangiare, che teneva il fuoco acceso, che allevava i figli quando gli uomini erano in guerra o all'estero a lavorare: era questo l'anello forte della domus, il perno della casa, il fulcro di quanto si doveva colpire e abbattere. Quando ci fu la persecuzione in Val Camonica, nel 1525, si registrarono 5000 imprigionati con l'accusa di stregoneria: 5000 in una sola valle vuol dire praticamente una persona per famiglia. Per distruggere la civiltà alpina che resisteva e la cultura altra bisognava debellare la donna che ne era il cuore, che ne era l'architrave.
Il testo proposto in quest'articolo è estratto da un intervento orale dell'autore in occasione del workshop 'Matriarcato e montagna': Centro di Ecologia Alpina, 10-11/03/1995; il testo integrale, senza le correzioni apportate dai redattori per l'edizione attuale, è contenuto nella pubblicazione degli atti del convegno citato, a cura di Michela Zucca, Trento 1996.

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