martedì 22 aprile 2008

Testamento Biologico

Intervento del pastore valdese Sergio Manna all'incontro del 18 aprile a Chivasso
Considerazioni etiche e teologiche in una prospettiva protestante

1. Premessa
Esiste un’etica rivelata e assoluta?
Quando si affrontano problematiche di carattere etico in una prospettiva protestante si rende necessaria una premessa fondamentale:

“le chiese riformate, sul piano dell’etica non ritengono di poter esprimere, una volta per tutte, parole definitive, né di poter desumere dalla Bibbia (confronto centrale e ineludibile per una comunità cristiana) risposte semplificate a tutti gli interrogativi che situazioni, conoscenze, civiltà diverse pongono di tempo in tempo alla coscienza dei credenti.” (Gruppo di lavoro sui problemi etici posti dalla scienza, 1999).

Data questa premessa, si possono però identificare alcuni orientamenti di carattere generale.


2. Linee guida per una riflessione etica e bioetica in una prospettiva evangelica
La Didachè.
La Regola d’oro.
Il comandamento dell’amore e l’etica della responsabilità.

Cosa può caratterizzare un’etica dal punto di vista cristiano?
La Didaché, antico testo della chiesa dei primi secoli, una sorta di manuale pratico di vita cristiana, redatto intorno agli anni 70-80 afferma: “Le cose che tu non vorresti fossero fatte a te non farle neppure tu agli altri” (I,3).
Mi pare un buon punto di partenza per una riflessione etica e bioetica.
Accanto a questa massima vi sono poi, in ambito evangelico, almeno due parole di Gesù che possono guidare la nostra riflessione:
“ama il prossimo tuo come te stesso” (Marco 12,31) e “come volete che gli uomini facciano a voi, fate voi pure a loro” (Luca 6,31).
Queste parole, tradotte in senso laico, potrebbero essere parafrasate in questo modo: “Sii responsabile verso il tuo prossimo come lo sei verso te stesso”, “Cerca il bene del tuo prossimo così come cerchi il tuo bene”.
Sappiamo che alla domanda “chi è il mio prossimo?”, Gesù rispose con la parabola detta del buon samaritano (Luca 10,25-33) come a ricordarci che il prossimo è anche il diverso, colui o colei che non la pensa come me, che ha un altro sistema di credenze e di valori. Se questo è vero, allora un’etica cristiana, nello spirito evangelico, non si prefiggerà di imporre regole elaborate all’interno di una specifica comunità di fede all’intera collettività, secondo un modello cosiddetto “integralista”.
Un’etica cristiana, nello spirito evangelico, sarà chiamata a tener conto della diversità di fedi e di culture, come anche dell’eventuale assenza di fede. L’obiettivo non sarà la trasformazione in leggi dello Stato di orientamenti e norme elaborate nell’ambito di una specifica chiesa, bensì la ricerca di un consenso tra soggetti diversi in vista di una migliore convivenza [eventuale citazione da Bioetica, Claudiana, 1998, p.46].
Tale consenso non andrà ricercato sul piano dei principi ultimi, quanto, piuttosto, sul piano delle attuazioni pratiche.


3. Tecnologia e umanizzazione della sanità
Esiste ancora la morte “naturale”?
Uso e abuso delle moderne tecnologie: prolungamento della vita o prolungamento dell’agonia?
Vita biologica e vita biografica.
Alcuni casi clinici per farci riflettere.
Viviamo in un’epoca nella quale tecnologie sempre più sofisticate ci permettono di prolungare, fino all’inverosimile, delle esistenze che per vie “naturali” si sarebbero già concluse da lungo tempo, e, in molti casi, vale la pena di chiedersi se si tratti veramente di prolungamento della vita o se non sia, piuttosto, prolungamento dell’agonia (esporre il caso del marito di Maria).
Sono molti i casi clinici e umani che potrebbero aprirci gli occhi, le menti e i cuori sulla necessità di batterci affinché le direttive anticipate diventino una realtà anche in Italia._


4. Che cosa è terapeutico?
Curare e prendersi cura.
Approccio olistico.
No ad una concezione salvifica del dolore.
La prassi di Gesù.

Il verbo greco therapeuo, dal quale viene la parola terapia, vuol dire prendersi cura, e per prendersi veramente cura di qualcuno bisogna rispettarlo, non privarlo della sua dignità.
Curare significa, allora, guardare alla persona integralmente, non ridurla alla parte malata del suo corpo.
Sono stato cappellano clinico per diversi anni, ma sono stato in ospedale anche come paziente diverse volte, e nelle corsie degli ospedali ho continuato a sentire come i pazienti, troppo spesso, venissero menzionati non con i loro nomi, bensì con il nome del loro organo malato: “Il fegato della stanza 8”, “il pancreas della stanza 12”, etc..
Ecco, la persona ridotta a patologia, la sua identità definita a partire dalla parte malata del suo corpo, la biografia annullata dalla biologia.

Curare e prendesi cura vuol dire anche cercare di lenire il dolore.
Ma nel nostro Paese il dolore fisico non viene adeguatamente trattato. In uno studio del 2002 l’Italia era al 101esimo posto nel mondo per somministrazione di morfina ai malati gravi, subito dopo l’Eritrea.
Non credo che le cose siano molto cambiate negli ultimi anni. Sebbene la morfina sia il farmaco più efficace nella terapia del dolore, siamo ancora scandalosamente indietro nel suo utilizzo. Si preferisce, quando va bene, l’utilizzo della codeina, che ne è un derivato ma non ne ha la stessa efficacia e talvolta costa addirittura di più.
Tutto ciò è scandaloso e, così come per il testamento biologico, richiede una battaglia di civiltà.
Noi protestanti non crediamo nella concezione salvifica del dolore.
Chi passa abbastanza tempo nelle corsie d’ospedale sa che il più delle volte il dolore non suscita la fede, ma la fa perdere.
In una prospettiva evangelica noi guardiamo alla prassi di Gesù, che ovunque ha incontrato il dolore sulla sua strada ha cercato di guarirlo, di curarlo.
Ed è significativo che il verbo usato nel vangelo di Matteo per i miracoli di Gesù è proprio therapeuo, che vuol dire prendersi cura.


5. Il Testamento biologico: una questione di civiltà_
Contraddizione tra l’assenza di una legge in materia e le affermazioni della Costituzione, del Codice di Deontologia Medica e della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina.

Sono sempre più convinto che quella del testamento biologico è una questione di civiltà. Da pastore, da cappellano ospedaliero, ma anche da semplice cittadino, non posso non che vedere favorevolmente l’introduzione, anche nel nostro Paese, di una legge sul testamento biologico, rispetto alla quale siamo spaventosamente in ritardo e perfino in contraddizione con la nostra stessa Costituzione_, con il Codice di Deontologia Medica (versione del 16/12/2006)_ e con la Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina (1997, art. 9)_.

Le obiezioni degli oppositori del testamento biologico.
Loro confutazione.
I benefici del testamento biologico:
a. per il paziente
b. per i familiari
c. per gli operatori sanitari.

La mia esperienza di cappellano clinico e di pastore mi ha portato alla convinzione che il testamento biologico potrebbe aiutarci ad evitare il moltiplicarsi di tante situazioni di inutile sofferenza.

Quello che dovrebbe essere un diritto per ciascuno di noi, una questione di civiltà, è purtroppo diventato oggetto di scontro tra fazioni le cui motivazioni sono spesso dettate più da ragioni di calcolo politico che di vero interesse per la persona umana.

Gli oppositori del testamento biologico avanzano generalmente due obiezioni all’utilizzo di questo prezioso strumento:

1. Lo scarto che potrebbe intercorrere tra volontà espressa al momento della redazione del testamento biologico e volontà attuale della persona.

2. Il testamento biologico sarebbe un modo surrettizio di introdurre l’eutanasia.

A queste obiezioni non è difficile replicare.
In primo luogo, anche il testamento biologico, come ogni testamento, è modificabile e riscrivibile in ogni momento.
In secondo luogo, il numero di situazioni che oggi pongono il problema se sia lecito o no “staccare la spina” (ad esempio il caso di Eluana Englaro) si ridurre notevolmente se le persone, o i fiduciari nominati dalle stesse, potessero scegliere in precedenza di non attaccare affatto la spina.

In luogo di quelle obiezioni, prive di fondamento, sarebbe allora molto più utile ed auspicabile una riflessione pacata e attenta su quelli che potrebbero essere i benefici del testamento biologico, non soltanto per chi lo redige, ma anche per i familiari e per gli operatori sanitari, chiamati sempre più spesso a confrontarsi con dei veri e propri dilemmi etici.

I benefici per il paziente sono evidenti: dignità, rispetto e tutela della propria volontà espressa.

I benefici per i familiari consistono: nella consapevolezza di rispettare la volontà del proprio caro, nella riduzione del peso emotivo delle decisioni di cui non si è certi, nel prevenire conflitti e fratture tra familiari di opinioni opposte.

I benefici per gli operatori sanitari, che molto spesso si trovano di fronte alle pressioni di familiari, divisi tra loro sul da farsi, consistono: nel potersi appellare alla volontà espressa dal paziente, nell’essere liberati, ad esempio anche dal dilemma se dire o no la verità al paziente (dal momento che il paziente stesso avrà dichiarato nella sua carta di autodeterminazione se vorrà essere informato o meno delle sue reali condizioni).




Dr. Sergio Manna
Pastore valdese
Supervisor in Clinical Pastoral Education
(College of Pastoral Supervision and Psychotherapy)
pastoraleclinica@chiesavaldese.org

Cfr. il caso di Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente in seguito ad incidente stradale avvenuto il 18 gennaio del 1992 e tenuta artificialmente in vita, nonostante il parere contrario dei genitori. La British Medical Association e la American Academy of Neurology sostengono che, in casi come questi, sia lecito sospendere la nutrizione e l’idratazione artificiale perché prolungare la sopravvivenza oltre i dodici mesi sarebbe accanimento terapeutico. Eluana è rimasta in quello stato già per sedici anni.

Fin dai primi anni ’90 veniva distribuito ai pazienti dell’Ospedale Evangelico Villa Betania di Napoli un modulo di testamento biologico elaborato dall’allora cappellano, il pastore evangelico battista Massimo Aprile. Ne esistono oggi altri ottimi esempi su internet.

Art. 32: “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
_ Autonomia del cittadino e direttive anticipate : « Il medico deve attenersi, nell'ambito dell'autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa dalla persona di curarsi, e deve agire nel rispetto della dignità, libertà, autonomia della stessa». « Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tener conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso, in modo certo e documentato » (art. 38 co. 1 e 3).
«I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell'intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione» (art.38).

1 commento:

Anonimo ha detto...

Letto con grande interesse. Ciao
Fabio